Nel Paese centramericano il 12% degli indigeni non parla lo spagnolo, ma solo uno dei 68 idiomi locali.
Nel Paese centramericano il 12% degli indigeni non parla lo spagnolo, ma solo uno dei 68 idiomi locali.
In Messico, secondo l’Istituto Nazionale di Statistica esistono sessantotto lingue indigene, le più frequenti delle quali sono quelle nahuatl (22,4%), maya (10,5%) e tzeltal (8%). Tra gli abitanti di almeno tre anni che si esprimono tramite una di esse, il 12% non parla nemmeno lo spagnolo. Le persone in questa fascia di età che si autoidentificano come indigene, poi, sono oltre ventitré milioni, pari al 19,4% della popolazione totale anagraficamente corrispettiva. Per questo, quest’anno la Conferenza Episcopale Messicana ha chiesto alla Santa Sede di poter effettuare alcuni adattamenti per andare incontro alle esigenze di comprensione degli indigeni.
Il cardinale Felipe Arizmendi, vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas in Chiapas, ha spiegato all’Agenzia Fides che «Senza perdere l’essenziale della fede cattolica, la Chiesa deve impegnarsi per l’inculturazione nei popoli originari del Messico. Ciò che stiamo cercando di fare è che la stessa fede cattolica e la stessa liturgia romana si esprimano in forme indigene, senza perdere l’essenziale della fede cattolica della liturgia della Chiesa universale». In diverse diocesi sono in corso dei tentativi di tradurre le Sacre Scritture nelle rispettive lingue locali, in aggiunta alle traduzioni complete e approvate dai vescovi messicani della Bibbia in tzeltal e in tzotzil del Chiapas e del Nuovo Testamento in maya e ad altre trasposizioni isolate fatte da vari sacerdoti.
In Messico la Chiesa sta facendo molto per rendersi prossima alle popolazioni originarie di queste terre. Il cardinale Arizmendi ricorda che «In quasi tutti gli episcopati latinoamericani esiste una commissione dedicata alla promozione e alla difesa dei popoli indigeni» e che nel Paese opera una commissione presieduta dal vescovo indigeno nahuatl José Hiraís Acosta, della diocesi da Huautla. «C’è ancora tanto da fare a causa delle pesanti discriminazioni nei confronti di questi popoli tuttora persistenti nella società messicana. I papi, da Giovanni Paolo II a Francesco, hanno rivolto loro molti messaggi per rivalutarli e insistere perché siano parte viva, soggetti e non solo oggetti di cura pastorale».
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