Preparerà il Signore un banchetto per tutti i popoli

“I miti abiteranno la Terra”, una serie di riflessioni su passi biblici: la convivialità delle differenze (Is 25,6).

1. Analisi di Is 25,1-12

Il brano di Is 25,1-12 si inserisce tra gli oracoli contro le nazioni (capp. 13-23) e una serie di poemi su Israele e Giuda (capp. 28-35). Tuttavia, tale delimitazione è di natura funzionale, presentando le due parti inserzioni che indicano una corrispondenza tra di loro: è il caso dell’oracolo contro Sebna in 22,25 o contro Edom al cap. 34, quest’ultimo peraltro diverso dalle invettive contro l’alleanza con l’Egitto in 30,1-5; 31,1-3 e contro l’Assiria in 30,27-33; 31,4-9, le quali muovono da un giudizio sui due regni di Israele e di Giuda medesimi. Il brano in esame si inserisce in quella che gli studiosi definiscono “apocalisse isaiana” (capp. 24-27), anche se esso sembra distaccarsi dai toni apocalittici del cap. 24 a causa dei vv. 1-5, i quali compongono un salmo di ringraziamento su di una città distrutta. Normalmente esso è diviso in due parti: la prima comprende i vv. 1-5, la seconda i vv. 6-12. Quest’ultima viene suddivisa, a sua volta, in tre parti: la prima è delineata dai vv. 6-8, la seconda dai vv. 9-10a, la terza dai vv. 10b-12.

a) vv. 1-5

I vv. 1-5 presentano un salmo di ringraziamento espresso da un singolo individuo. Il paragone con i Salmi 30 (29) e 31 (30) induce a ritenere che esso esprima una comunità cultuale: bisogna tuttavia sottolineare come, a differenza dei salmi citati, qui la voce singola non esorta il popolo ad associarsi al suo canto di lode. Il v. 1 si apre con una professione di fede: «Yhwh, tu sei il mio Dio» che si esprime nella lode innalzata al Nome. Il motivo dell’inno è dato dalle cose meravigliose che Dio ha compiuto (ebraico pele’) e da ciò che egli ha reso degno di fiducia, in quanto fedele alle sue promesse (v. 1d): la distruzione di una città fortificata, non nominata (ma l’espressione «non sarà ricostruita», che richiama concezioni similari contenute in 13,20 e 14,22, potrebbe essere un’allusione a Babilonia), ridotta a macerie, e l’abbattimento di quello che nel TM è descritto come «palazzo degli stranieri (ebraico zārîm, termine che indica gli stranieri dei quali non fidarsi: normalmente la diffidenza è concepita in ordine all’idolatria da essi praticata e all’illiceità dei loro comportamenti morali)». Ciò induce i popoli a dare gloria al Signore.

Il v. 3 è, comunque, di difficile interpretazione: il «popolo forte» sarebbe il termine sostituivo di un originario “popoli”. La comparsa dell’aggettivo “forte” e il passaggio dal plurale al singolare sarebbero dovuti all’inserzione del termine qiryat (cittadella), il quale sarebbe da espungere in quanto contradirebbe il v. 2, nel quale la cittadella è distrutta. Gli stranieri innalzano inni al Dio di Israele, il solo che ha potuto distruggere la città potente: il v. 3 sembra richiamare qui 14,7, «Riposa ora tranquilla tutta la terra ed erompe in grida di gioia».

Alla motivazione espressa ai vv. 1-2 se ne aggiunge una ulteriore al v. 4 (tutte le espressioni sono introdotte dalla particella dichiarativa/causale , “poiché”, “perché”): Dio è descritto come rifugio per il povero e il misero, probabilmente, dato l’anonimato, qui è il popolo di Israele (cfr. ancora 14,30), ma il v. 6 sembra intendere un allargamento ai popoli del mondo, negli stessi termini che occorrono in 4,5b-6: «sopra ogni cosa la gloria del Signore sarà come baldacchino. Una tenda fornirà ombra contro il caldo di giorno e rifugio e riparo contro i temporali e contro la pioggia». Una seconda nota esplicativa, probabilmente una glossa, interpreta la tempesta e la calura come lo spirito dei violenti (vv. 4d-5a).

Nel v. 5bd l’orante esprime la certezza che Dio reprimerà la furia degli stranieri (ritorna il termine zārîm del v. 2), paragonata alla calura scaturita da un cielo coperto in v. 5c, mentre il canto dei violenti cesserà. Il v. 5 esprime, mediante l’uso dell’imperfetto, una transizione al futuro: pertanto, i vv. 1-5 possono essere interpretati come un canto profetico di ringraziamento per ciò che si è certi avverrà, ma non è ancora accaduto. L’autore, attraverso il linguaggio dei salmi, tratteggia un oracolo profetico nei termini di un ringraziamento: la preghiera è profezia e denuncia, nella lode, il male del mondo, preannunciando, attraverso l’inno di lode, la sua distruzione ad opera di Dio.

b) I vv. 6-12

Per i vv. 6-8 va ripreso Is 24,33: «Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e in Gerusalemme e davanti ai suoi anziani sarà glorificato». Il v. 6 sembra identificare “questo monte” con Sion. Lì il Signore prepara un banchetto per tutti i popoli che vi affluiscono. Il motivo del pellegrinaggio delle nazioni al monte di Dio è espresso già al cap. 2 e sarà ripreso in 45,14.23 e soprattutto in 56,6ss.; 60,1ss.; 61,5ss.; 66,12.18-19ss., come mostra la seguente sinossi:


Isaia 2
1 Ciò che Isaia, figlio di Amoz, vide riguardo a Giuda e a Gerusalemme. 2 Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. 3 Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore,

Isaia 56,6
Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza,

Isaia 60,1
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te.

Isaia 61,5
Ci saranno stranieri a pascere i vostri greggi e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli.

Isaia 66,12
Poiché così dice il Signore: «Ecco io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati.

Isaia 66,18-19
18 con le loro opere e i loro propositi. Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. 19 Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti di Tarsis, Put, Lud, Mesech, Ros, Tubal e di Grecia, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni.


Il tema della festa si registra in Zac 14,16, mentre le grasse vivande e i vini raffinati sembrano una ripresa di Dt 14,26. Il banchetto è preparato da Dio, allo stesso modo della donna Sapienza in Pr 9,1 5: «La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: “Chi è inesperto accorra qui!”. A chi è privo di senno essa dice: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato”». In Is 55,1-3 è ancora Dio a invitare, gratuitamente, al pranzo che lui prepara e le cui vivande si condensano nella sua parola, l’ascolto della quale rende sazi: «O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete».

Al banchetto sono invitati tutti i popoli: la festa è accompagnata dalla rimozione dal loro volto del velo del lutto e della lamentazione conseguente (v. 7), così come nel Sal 30 (29),12: «Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia». L’eliminazione della morte al v. 8 sembra un’aggiunta posteriore, in linea tuttavia con lo sviluppo del brano e con alcune linee teologiche isaiane, quali la comparsa di un cielo nuovo e di una terra nuova in Is 65,17-25; 66,22. La scomparsa della morte si accompagna alla fine delle lacrime. Allo stesso tempo, sarà rimossa la vergogna del popolo di Dio: il passo in questo punto presenta delle incertezze interpretative, non essendo chiaro se qui si debba intendere il popolo di Israele o quello formato dalle nazioni che, insieme ad Israele, prendono parte alla festa, in un contesto senza più lutto né morte.

Nei vv. 9-10a, La fiduciosa certezza che quanto il Signore ha detto questo compirà, proprio perché il parlare di Dio corrisponde al suo agire, esplode in un nuovo inno di ringraziamento al v. 9, che si apre con un verbo, ’āmar, “dire”, senza soggetto esplicito, mentre il canto di lode è espresso alla prima persona plurale. L’espressione “il nostro Dio” richiama quella del v. 1 «Yhwh, tu sei il mio Dio», probabilmente a voler significare o una nuova affermazione della fede in Yhwh da parte dell’intero popolo di Israele, poiché prima essa era sulle labbra del singolo orante, o un riconoscimento da parte dei popoli di Yhwh come unico Signore, tenendo in considerazione lo sviluppo del brano.

Is. 40,10: «Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono» sembra sulla stessa linea espressiva del v. 9. La speranza e la salvezza sono, invece, un chiaro riferimento al v. 2; ancora, il tema della speranza associata alla fiducia nel Nome, menzionato quest’ultimo al v. 1, si ritrova in Is 26,8: «Sì, nella via dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te; al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio». L’espressione “la mano di Dio”, al pari di altre similari, come “la destra del Signore” o “il braccio del “Signore”, è di marca post-esilica, mentre la ripetizione della frase “questo monte” crea un’inclusione con il v. 6.

I vv. 10b-12 sono ritenuti un’aggiunta posteriore: essi spezzano, in effetti, l’afflato universalistico che caratterizza i vv. precedenti. Moab, insieme ad Ammon, è escluso dalla comunità di Israele secondo Dt 24,4-5: «L’Ammonita e il Moabita non entreranno nella comunità del Signore; nessuno dei loro discendenti, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore; non vi entreranno mai perché non vi vennero incontro con il pane e con l’acqua nel vostro cammino quando uscivate dall’Egitto e perché hanno prezzolato contro di te Balaam, figlio di Beor, da Petor nel paese dei due fiumi, perché ti maledicesse». La descrizione della condizione di Moab sembra esplicitare il v. 2 e, a parere di alcuni interpreti, essa è conseguenza del suo rifiuto di aderire alla lode del Dio di Israele e al suo banchetto, così come hanno fatto le altre nazioni.

2. Attualizzazioni

Il brano si apre con una lode di sapore profetico. La preghiera in tal senso, in quanto tale, è un atto di denuncia contro la logica del mondo: essa intravede l’azione nel mondo di Dio, che distrugge l’alterigia dei superbi. Non muove dal giudizio e non indulge a esso, ma a partire dalla contemplazione del Dio degno di fiducia, perché compie stabilmente ciò che promette, la lode prospetta un intervento di Dio stesso a favore dei poveri e dei bisognosi contro ogni violenza loro inflitta. È la preghiera stessa a diventare annuncio presso i popoli, spingendoli al timore del Signore. Quest’ultimo si definisce come un’accoglienza della comunione, espressa dall’immagine del banchetto, che Dio propone a tutti gli uomini in quanto comunità.

È da questa relazione con Dio che scaturisce la fine di ogni sofferenza e la rottura delle trame della morte. Si comprende bene, in tal senso, come il credente abbia da assumersi la responsabilità della preghiera di lode e della profezia, perché sono queste due dimensioni a manifestare il volto di Dio e ad attrarre i popoli. Costoro, infatti, aderiscono a quanto il credente proclama attraverso il ringraziamento e annuncia mediante la profezia. A loro null’altro è richiesto se non la partecipazione alla visione del credente che si fa canto. Ma è compito del credente la diffusione della parola del Signore, che, come seme, viene sparso, in maniera prodiga, su ogni tipo di terreno: in tal senso il banchetto è allestito da Dio, in quanto è lui ad invitare i popoli attraverso la testimonianza del credente.

Se il banchetto è la celebrazione di una comunione universale di Dio con gli uomini e di questi tra loro, la percezione di un suo pieno compimento alla fine dei tempi impegna il credente nell’oggi della storia. La speranza di una salvezza certa, che si configura per l’appunto come comunione in pienezza, si esprime attraverso una vita di fede alimentata dall’ascolto e dalla preghiera ed un’attiva partecipazione agli eventi della storia, pur nella ferialità. Il canto di vittoria su Moab, pur nei suoi accenti imprecatori, sembra innalzarsi quasi come il rammarico per una mancata accoglienza del dono: dietro parole che sembrano minacciose, si cela, infatti, l’ostinata volontà di far ragionare chi è riottoso per gioire della sua presenza al banchetto.

Don Carmelo Raspa
Mercoledì della Bibbia 2024 della Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto