“I miti abiteranno la Terra”, una serie di riflessioni su passi biblici: la pace donata dal Messia (Is 11,6).
“I miti abiteranno la Terra”, una serie di riflessioni su passi biblici: la pace donata dal Messia (Is 11,6).
1. Ritorna oggi sovrana la guerra
Ci accostiamo alla lettura dell’oracolo messianico di Is 11,1-9, non solo comprendere il significato di ciò che il profeta ha annuncia al popolo del suo tempo, ma anche per comprendere la situazione del nostro tempo, che è un tempo di violenza e di guerra. Infatti, più di trecento guerre lacerano il mondo di oggi, anche se in realtà è una sola guerra. Le guerre che sentiamo più vicine a noi sono la guerra tra Russia e Ucraina, con la distruzione di quest’ultima, e il conflitto tra israeliani e palestinesi, iniziato, a dire il vero, molti anni fa e oggi, dopo il massacro del 7 ottobre compiuto da Hamas, è giunto – ma speriamo di no – alla risoluzione finale da parte di Israele con il massacro sistematico da genocidio a Gaza del popolo palestinese.
Ma, purtroppo, ulteriori venti di guerra soffiano all’orizzonte: si combatte nel Mar Rosso, dove il nostro governo intende partecipare per tutelare gli interessi commerciali italiani; la Svezia e la Lettonia intendono entrare nella NATO per meglio fronteggiare la Russia; l’Inghilterra, la Germania, l’Italia aumentano le spese militari per timore di un attacco della Russia; i Paesi dell’Alleanza Atlantica (NATO) si stanno organizzando per una grande esercitazione militare in Polonia, Germani e Paesi Baltici. La guerra, con la sua cultura di odio, di distruzione e di morte, dunque, oggi è ritornata sovrana nel gestire sia i rapporti commerciali, sia le relazioni conflittuali tra i popoli. Ed è sempre di più considerata una normalità, anche in non pochi cristiani, specialmente in coloro che hanno responsabilità politiche.
Lo constatiamo nella nostra quotidianità: la risoluzione dei conflitti per mezzo della violenza sta diventando, a tutti i livelli – famigliari, sociali e politici – una consuetudine; la cultura dell’odio, del disprezzo e dell’aggressione sta diventando un modus vivendi comune, il bisogno di costruirsi un nemico – al fine di esistere, di occupare la scena pubblica e di raccogliere consensi – un’esigenza diffusa. Se questo è l’attuale corso della nostra storia, allora come credenti proviamo ad accostarci al profeta Isaia uno dei profeti che più volte ha parlato di pace , affinché ci aiuti a leggere il nostro tempo in un’altra prospettiva e ad assumere, come persone umane e cristiane, uno stile diverso e alternativo di abitare questo mondo, perché, come ha proclamato Gesù nelle Beatitudini, solo i miti sono capaci di abitare e custodire la terra (cf. Mt 5,5; Sal 37,11).
2. Il profeta Isaia nel contesto del suo tempo
Il profeta Isaia è vissuto nella seconda parte dell’VIII secolo a.C. a Gerusalemme, capitale del Regno di Giuda, il piccolo Regno del Sud, che ha la prerogativa di essere governato dai discendenti di Davide, vale a dire da coloro che sono i destinatari e i portatori della promessa messianica annunciata da Dio a Davide tramite il profeta Natan: il figlio che nascerà da lui renderà stabile il suo trono (cf. 2Sam 7). Di generazione in generazione la stabilità e la permanenza del regno davidico si va così sempre più consolidando attorno a questa promessa messianica e all’attesa del figlio di Davide. E anche quando il Regno di Giuda, a partire dal 597 e poi dal 587 fino al 538 a.C., non esisterà più a causa dell’invasione dell’impero Babilonese e la deportazione in Babilonia del ceto più alto degli israeliti (sacerdoti, profeti, funzionari di corte, artigiani), l’attesa del figlio di Davide continuerà ad essere il punto riferimento sicuro e incrollabile nella coscienza umana e di fede di quel piccolo resto del popolo di Dio che sopravvivrà passando lungo i secoli attraverso tutte le devastazioni e gli sconvolgimenti istituzionali, religiosi, sociali e interiori.
Ritornando ad Isaia, possiamo dire che il nostro profeta mostra di essere una persona culturalmente preparata, uno scrittore raffinato, un profeta particolarmente attento agli avvenimenti locali e internazionali del suo tempo, molto vicino al re e alla vita del suo popolo. Egli è un uomo dedito all’ascolto della Parola di Dio e, come un vero contemplativo, legge e interpreta gli avvenimenti del suo tempo alla luce della Parola di Dio.
A partire dal 740 a.C. – anno in cui sentì la chiamata del Signore (cf. Is 6) –, egli esercitò il suo ministero profetico per quarant’anni. Questo periodo fu dominato dall’incubo della potenza militare dell’impero Assiro, a quel tempo in forte espansione alla conquista di vari regni. Ma ora si avvicina il tempo in cui l’Assiria sempre di più fa sentire la minaccia dell’occupazione verso il più fiorente e ricco Regno di Israele, cioè il Regno del Nord, avente come capitale Samaria.
Accadde, allora, che il re di Aram (capitale Damasco) – oggi l’attuale Siria – e il re del Regno di Israele (Regno del Nord, capitale Samaria) si allearono per contrastare l’avanzata dell’Assiria, pretendendo che anche il Regno di Giuda (Regno del Sud), in quel momento governato dal re Acaz, si allei con loro (cf. Is 7,1-9). Acaz rifiutò la proposta. Aram e Israele reagirono decidendo di attaccare Giuda, il quale chiese tutela politico-militare proprio all’impero assiro. Tale tutela accelerò l’invasione del Regno di Israele da parte dell’Assiria, invasione che avvenne nel 721 a.C. Così la città di Samaria e tutto il regno furono occupati e la maggior parte della popolazione fu deportata in Assiria. Va notato che l’impero Assiro fu quello che inventò il metodo perverso della deportazione, al fine di impossessarsi con assoluta tranquillità dei territori conquistati e di impedire alla popolazione sconfitta, inerme e per buona parte sradicata, la possibilità di una rivincita e di una futura ricostruzione. È come troncare ad un popolo la vita e la speranza del riscatto, e quindi il suo futuro.
3. La contemplazione profetica degli avvenimenti
Di tutta questa situazione Isaia, pur vivendo a Gerusalemme, cioè nel Regno del Sud, ne è a conoscenza. Per noi è interessante evidenziare come egli interviene da profeta contemplativo, attento a leggere gli avvenimenti alla luce dell’ascolto della Parola del Signore.
a) Nel disastro e nella devastazione Dio apre una strada di salvezza
Innanzitutto, pur consapevole del pericolo assiro, Isaia non prende subito posizione contro l’Assiria, questo lo farà in seguito, ma rivolge la sua attenzione contro il suo popolo, che sta tradendo la sua vocazione di popolo di Dio, di popolo amato gratuitamente e visceralmente da Dio. Il pericolo dell’invasione dell’impero assiro non può essere un buon motivo per ignorare i propri errori e la propria storia sbagliata. Anzi questa è l’occasione propizia di fare un’autocritica e un esame di coscienza. Il popolo di Dio, infatti, ha raffreddato la sua relazione di alleanza di amore con Dio (cf. Is 1,2-9); le sue liturgie non sono accette a Dio, perché sono sporche di sangue, perché mescolano preghiere e delitti, devozioni e ingiustizie, e invece Dio non vuole preghiere ma il dono di noi stessi (cf. Is 1,10-20). Anche Gerusalemme, la città della fedeltà del Signore, è diventata come una prostituta dove tutto si commercia (cf. Is 1,21-28).
Ma qual è qui il punto teologicamente qualificante della profezia contemplativa di Isaia? Egli intravvede che dentro questo disastro esistenziale, spirituale e morale – di cui tutti sono responsabili – Dio, a motivo della fedeltà alle sue promesse e per amore del suo popolo (cf. Is 5,1-7), non si tira indietro ma apre una strada di salvezza per far uscire il popolo dal disastro, dal suo fallimento esistenziale, sociale e spirituale. Scrive, al riguardo, Pino Stancari nella sua lectio su Isaia:
«Tutto questo avviene non in virtù di una visione astratta, o in una prospettiva idealizzata, o sognando chissà quali soluzioni ovattate ed estranee all’oggettiva drammaticità della storia in corso; tutto questo avviene proprio nel contesto di questa storia umana, che è la storia del nostro popolo, la storia della mia generazione, drammatica com’è, fino alla catastrofe. La salvezza non sta in alternativa alla catastrofe; non è la sorte fortunata che consente ad alcuni di scampare dalla catastrofe. Non è così che vanno le cose. La salvezza è l’opera di Dio, che si realizza in continuità con la sua irrevocabile scelta d’amore. Essa si realizza all’interno della catastrofe nella quale siamo coinvolti: quella catastrofe nella quale precipitiamo e della quale siamo responsabili.
È la catastrofe alla quale non possiamo più sfuggire: vi siamo già dentro. Ma è proprio nel cuore della catastrofe – trasformando dall’interno il dramma della nostra storia sbagliata – che il Santo realizza le sue intenzioni, perché egli è fedele e avanza verso di noi. […] Ebbene, in obbedienza all’iniziativa di Dio, la salvezza non si compie scavalcando il fallimento, ignorandolo o in alternativa ad esso; la salvezza, opera di Dio nella storia umana, si compie in quanto la condizione fallimentare in cui si trova un popolo e l’umanità intera – che si esprime nell’inquinamento, nell’indurimento, nell’inasprimento del cuore umano – è attraversata dall’iniziativa del Dio vivente. La salvezza non si manifesta in quanto viene esclusa la catastrofe per un caso fortunato, ma al contrario proprio passando attraverso di essa» .
Perciò in Is 1,18-19 Dio, tramite il profeta, invita il popolo a ritornare a Lui, perché è Lui che rende i peccati da color «scarlatto» a «bianchi come neve», da “rosso porpora” a “bianchi come lana”. È Lui che sa ribaltare le situazioni e aprire nuovi orizzonti. È lui, Dio, che realizza l’impossibile. Non solo. In Is 2,1-5 il profeta contempla, nella devastazione in atto, uno scenario di pace universale, dove tutte le genti accorrono a Gerusalemme convocate dalla Parola del Signore; dove le armi vengono trasformate in strumenti di lavoro e dove non si impara più l’arte della guerra (ovvero: il primato della spesa per i servizi sociali, per la sanità, la scuola, il lavoro…, in alternativa al primato delle spese militari e della produzione delle armi). È Dio che apre una strada di salvezza. Anche ad Acaz, verso il quale Isaia aveva cercato di opporsi riguardo alla richiesta della tutela politico-militare dell’Assiria, ad Acaz, che non si era fidato di Dio e delle sue promesse, Dio gli apre una strada di salvezza. La apre a modo suo: ovvero nel segno profetico della nascita di un figlio dal grembo di una donna. Il figlio viene chiamato Emmanuele, Dio-con-noi (Is 7,14). Questi è Ezechia, che regnerà nel Regno di Giuda dal 716 al 687, e sarà un re che aderirà al Signore e alla sua Parola (cf. 2Re 18.1-8).
b) Dal ceppo di Iesse Dio fa fiorire un germoglio (Is 11,1-9)
Siamo all’oracolo messianico annunciato in Is 11,1-9. Si apre ad Isaia un’altra visione contemplativa della storia del suo popolo, sintetizzata nell’immagine simbolico-evocativa dell’albero tagliato e ridotto a un ceppo morto, dal quale però fiorisce un germoglio in modo inatteso e sorprendente. È ancora Dio che opera nella storia complessa, complicata e disastrosa della storia umana. Va notato che ciò che precede Is 11,1-9, ovvero 10,27d-34, annuncia e descrive l’occupazione assira del Regno di Israele (Regno del Nord). Ma nello stesso tempo Isaia contempla il Signore che avanza e che si rende presente, perché è Lui che sta preparando il ceppo (cf. Is 10,33-34), che in Is 6,13 era stato qualificato come «seme santo», e che fa riferimento a quel piccolo resto di Israele rimasto fedele alle promesse di Dio (cf. Is 10,20-23; 11,10-16).
Ora quel ceppo, qui in Is 11, viene chiamato «tronco di Iesse». Iesse è il padre di Davide. Dal tronco di Iesse spunta un altro Davide, di origini insignificanti, come lo erano Davide e suo padre. Da questo tronco morto, che rievoca la situazione di disastro e di devastazione, «un virgulto germoglierà dalle sue radici» (cf. anche Is 4,2-3). Notiamo che “virgulto” in ebraico è nēṣer, da cui viene “Nazareno”, di cui si dirà di Gesù, forse a motivo del nome del villaggio insignificante di Nazareth (cf. Mt 2,23; Gv 1,46). È Dio che avanza dentro i disastri dell’umanità per far rifiorire da un ceppo morto un nuovo germoglio, per aprire, a modo suo, una nuova strada di salvezza. Perciò l’oracolo messianico continua affermando che il “germoglio nuovo Davide” sarà dotato, non di una nuova e più potente forza militare, bensì di una nuova autorevolezza spirituale, che gli deriva dal fatto che in lui dimora la pienezza dello Spirito del Signore.
Da questa pienezza egli riceverà quei doni che lo pongono in comunione e sintonia intima con la volontà e il pensiero di Dio. Ecco i doni:
– «spirito di sapienza…»: è il dono di governare in conformità al volere di Dio e non agli interessi personali;
– «… e di intelligenza»: è il dono di saper discernere ciò che è bene e ciò che è male;
– «spirito di consiglio…»: è il dono di comprendere i disegni di Dio e di prendere le decisioni necessarie per agire in conformità a quei disegni;
– «… e di fortezza»: è il dono, non della forza militare, ma della capacità di operare con determinazione ed efficacia in conformità a quei disegni;
– «spirito di conoscenza e di timore del Signore»: è il dono dell’esperienza della presenza di Dio (conoscenza) e del prendere sul serio (timore del Signore) la sua opera di salvezza nella storia.
Animato e sostenuto così dallo Spirito del Signore, il “germoglio nuovo Davide” sarà in grado di operare nella storia, affrontando e governando le situazioni concrete con grande cura e responsabilità, ponendosi al servizio dei poveri e di quanti nella società sono emarginati, come pure affrontando i conflitti con modalità nonviolente (cf. Sal 72). Pertanto: «Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi» (Is 11, 3b-5). L’effetto dell’azione dello Spirito del Signore, attraverso le azioni responsabili del virgulto messianico, sarà la pace tra gli esseri umani e la ricomposizione dell’armonia e dell’equilibrio tra gli esseri umani e gli altri esseri creati: «il lupo dimorerà insieme con l’agnello…» (Is 11, 6-9). Mediante il Messia Davidico è Dio che continua ad avanzare attraverso le macerie della storia causate dall’insipienza umana, per aprire una strada di salvezza e riaccendere una speranza di pace all’umanità.
Dunque, questa è la contemplazione profetica che Isaia, uomo dell’ascolto della Parola, ha annunciato, con coraggio, perseveranza e determinazione, al popolo di Dio. Oggi questo annuncio è rivolto a noi, affinché impariamo a leggere l’attuale corso della nostra storia con gli occhi di Dio, scrutando quali nuovi orizzonti e quali strade di pace e di salvezza egli, con pazienza e amore, facendosi largo tra le macerie della guerra, sta aprendo attraverso le voci e l’opera costruttiva dei profeti del nostro tempo. È Dio, il Dio della vita e non della guerra, che chiede il nostro coinvolgimento, affinché percorriamo le sue strade. È urgente che oggi torni sovrana la pace, perché solo così possiamo rendere più vivibile il nostro mondo e rispettare e custodire la dignità di ogni persona umana, di ogni popolo e cultura.
Fr. Egidio Palumbo
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