Il nuovo Indice globale della fame mostra come dal 2015 a oggi non ci siano stati progressi nel contrasto alla malnutrizione.
Il nuovo Indice globale della fame mostra come dal 2015 a oggi non ci siano stati progressi nel contrasto alla malnutrizione.
I progressi per contrastare la fame nel mondo sono in stallo dal 2015 e quest’anno la situazione è cupa. 750 milioni di persone la soffrono e la quasi totalità di queste, passate dai 572 milioni del 2017 a 735 milioni, risulta malnutrita. È quanto emerge dalla diciottesima edizione dell’Indice globale della fame (Global Hunger Index, GHI), curata per l’Italia da Fondazione CESVI. L’indice, tra i principali rapporti internazionali per questo tipo di misurazione, si basa su quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni.
Le regioni con i dati peggiori sono l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale. Il livello della fame è allarmante in Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen, mentre è grave in altri trentaquattro Paesi. Se si considerano anche le nazioni in cui dal 2015 la fame è aumentata o il suo calo è stato trascurabile, destano preoccupazione le situazioni di Afghanistan, Burkina Faso, Haiti, Mali, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Yemen. In questo lasso di tempo, miglioramenti ci sono stati in Bangladesh, Ciad, Gibuti, Mozambico, Nepal, Laos e Timor Est.
A ostacolare i progressi è un insieme combinato di cause: il cambiamento climatico, i conflitti e le guerre, le crisi economiche, le pandemie. Le conseguenze di questi fattori ricadono soprattutto sulle persone più giovani: l’attuale instabilità alimentare significa rischiare una vita adulta di povertà estrema e di incapacità di far fronte ai disastri ambientali e alle altre crisi. Poi, il futuro è più buio per donne e bambine, visto che rappresentano circa il 60% delle vittime della fame acuta.
Un impatto diretto e significativo sull’insicurezza alimentare lo ha il cambiamento climatico. Infatti, all’aumentare di temperature e disastri ambientali crescono la difficoltà e l’incertezza nel produrre cibo. Questo ha effetto soprattutto nei Paesi poveri, perché il 75% degli indigenti che vivono in zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e mari, per la propria sopravvivenza. Secondo una stima del World Food Program, inoltre, l’80% delle persone che nel nostro pianeta soffrono la fame vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. La sovrapposizione delle crisi sta intensificando le diseguaglianze sociali ed economiche, vanificando i progressi fatti per sradicare la fame nel mondo.
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