Il prefetto apostolico del Paese asiatico racconta la situazione di una comunità cattolica alla periferia della cristianità.
Il prefetto apostolico del Paese asiatico racconta la situazione di una comunità cattolica alla periferia della cristianità.
Pochi giorni fa, la Santa Sede ha divulgato il programma del viaggio apostolico che Papa Francesco farà a fine agosto e inizio settembre in Mongolia. In questo Paese alla periferia della cristianità, mons. Giorgio Marengo, che ha iniziato a operare qui nel 2003 come missionario della Consolata, è stato nominato dall’attuale pontefice prima vescovo e prefetto apostolico della capitale Ulaanbaatar, poi cardinale, il primo per questa nazione. Alla rivista Missioni Consolata egli ha raccontato come la Mongolia, il secondo Paese meno popolato del mondo, sia stata per settant’anni nell’orbita sovietica dell’Urss, anche se non ne era formalmente membro, con implicazioni quali la repressione del buddhismo, la cancellazione della libertà religiosa, l’ateismo di stato. Dopo le prime elezioni democratiche del 1992, invece, il primo governo multipartitico si è impegnato a tutelare la libertà di religione e di culto e ha, cosa insolita, chiesto alla Santa sede di ristabilire relazioni diplomatiche.
Da allora, si è andata costituendo una piccola Chiesa, come spiega mons. Marengo: «Abbiamo dieci luoghi di culto riconosciuti dallo stato, di cui otto parrocchie e due cappelle (cinque in capitale e dintorni, due nel Nord e una ad Arveiheer). Sono il fulcro della vita cristiana. Abbiamo ventidue sacerdoti, di cui due sono mongoli, trentacinque suore, alcuni laici missionari, per undici congregazioni e ventiquattro nazionalità». I catechisti locali, continua, sono i principali protagonisti dell’evangelizzazione, in quanto riescono a comunicare i contenuti essenziali della fede utilizzando la lingua e le categorie culturali del popolo mongolo.
Visti questi numeri esigui, è interessante sentire come il cardinale veda l’essere Chiesa di minoranza, ovvero vivere una situazione in cui non è per nulla scontato essere cristiani ed essere accettati come tali. Egli dice che è importante non dare nulla per scontato nell’esercizio della fede, provando a metterla in circolo in una società in cui i punti di riferimento sono altri. Rimanendo umili e attenti e curando l’autenticità del messaggio, si cercano le strade che funzionano e si aiutano le persone a viverla con coraggio e serenità, visto che per un mongolo diventare cristiano è una scelta impopolare che può esporre alla derisione sociale.
Comunque, la Chiesa cattolica è in ottimi rapporti con le altre religioni presenti nel Paese, dal buddhismo di matrice tibetana allo sciamanesimo, dall’islam agli altri credi cristiani. In particolare, le relazioni migliori ci sono con le istituzioni e i leader buddisti, con i quali c’è un cammino trentennale comune. Gli incontri interreligiosi che, fino a un paio di anni fa, erano annuali sono diventati quasi mensili. Organizzati a turno da una delle guide religiose, hanno l’obiettivo di conoscersi sempre meglio e di pensare a obiettivi da raggiungere insieme. Come Chiesa più giovane d’Asia, la Mongolia può dare il suo contributo al dialogo e alla testimonianza.
Associazione Rete Sicomoro | Direttore Enrico Albertini
Via Fusara 8, 37139 Verona | P.IVA e C.F. 03856790237
E-mail info@retesicomoro.it
Privacy policy | © 2025 Rete Sicomoro