Le denunce di mons. Lisboa contro le violenze dei jihadisti nella provincia di Cabo Delgado non piacciono alla politica e ai giornali.
Le denunce di mons. Lisboa contro le violenze dei jihadisti nella provincia di Cabo Delgado non piacciono alla politica e ai giornali.
Nel nord del Mozambico, martoriato da gruppi di jihadisti sin dall’ottobre del 2017, il vescovo della diocesi di Pemba, Luis Fernando Lisboa, sta subendo minacce di morte a causa delle sue denunce contro le violenze in corso e gli interessi economici in gioco. Infatti, i terroristi hanno iniziato a compiere incursioni armate nella provincia di Cabo Delgado che è ricca di gas naturale e petrolio, causando 250.000 sfollati e oltre un migliaio di morti. In un’intervista a Nigrizia del giugno scorso, mons. Lisboa ha spiegato l’intervento della sua chiesa:
«Ci siamo mossi fin dai primi attacchi. In primo luogo, cercando di essere una voce che parla e che riporta in Mozambico e nel mondo quello che sta succedendo. Fin dall’inizio c’è stata una certa pressione affinché non si parlasse. Ad esempio, alcuni giornalisti sono stati arrestati. La chiesa, invece, ha sempre cercato di parlare: deve essere come un altoparlante per chi non ha la possibilità o non ha il coraggio di parlare. Ma non c’è solo questo. La chiesa, attraverso la Caritas diocesana, sta aiutando la popolazione, soprattutto gli sfollati, con cibo, indumenti, medicinali, acqua e tende. Inoltre, durante tutto questo tempo, i missionari sono rimasti nelle zone di conflitto fino a che hanno potuto. Sono stati gli ultimi ad andarsene.»
Queste parole vengono considerate scomode e alle calunnie nei confronti del vescovo scritte sui giornali si sono aggiunte le minacce sui social network. Addirittura, a metà agosto il presidente della repubblica Filipe Nyusi, in visita alla regione, si è detto dispiaciuto per l’atteggiamento di certi mozambicani e di alcuni stranieri che mancherebbero di rispetto alle forze di difesa del paese e al loro sacrificio nel proteggerlo. Mons. Lisboa, di origine brasiliana, è stato considerato l’obiettivo principale delle critiche presidenziali, le cui dichiarazioni hanno fomentato la rivolta contro il vescovo.
Per fortuna, a questi attacchi si sono contrapposti molti atti di solidarietà. Vari gruppi della società civile e associazioni religiose hanno scritto una petizione indirizzata al governo mozambicano, chiedendo dialogo, rispetto della libertà di espressione dei cittadini (anche quelli stranieri) e la responsabilità penale per coloro che sui social network incitano alla violenza. Persino Papa Francesco ha voluto telefonare al vescovo Lisboa per dimostrare vicinanza alla sua difficile situazione.
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