Mons. Álvarez ha preferito la prigione all’esilio, mentre sette membri della sua diocesi sono stati deportati negli USA.
Mons. Álvarez ha preferito la prigione all’esilio, mentre sette membri della sua diocesi sono stati deportati negli USA.
Sono stati liberati ed esiliati negli Stati Uniti i quattro sacerdoti cattolici, i due seminaristi e un diacono della diocesi di Matagalpa che erano stati condannati pochi giorni fa da un tribunale del Nicaragua a dieci anni di carcere per l’accusa di cospirazione e diffusione di false notizie. Facevano parte della lista di duecentoventidue persone (su duecentotrentacinque prigionieri politici censiti) rese libere dal regime autoritario di Daniel Ortega e della moglie Rosario Murillo grazie a un accordo con il governo di Washington, come si legge su Avvenire. Invece, il vescovo di Matagalpa Rolando Álvarez, arrestato nell’agosto scorso assieme a loro e finora agli arresti domiciliari sotto stretta sorveglianza, ha rifiutato di lasciare la sua patria ed è stato condannato a ventisei anni e quattro mesi di prigione.
I sette membri della Chiesa deportati, dichiarati apolidi dal presidente, avevano subito un processo a porte chiuse e con difensori d’ufficio nominati dallo Stato, per cui non si conoscono le prove della loro presunta colpevolezza che erano alla base della condanna di una giudice del distretto penale di Managua. Si sa che loro, tra cui ci sono il rettore dell’Università Juan Pablo II e due vicari della cattedrale, avevano potuto difendersi insistendo unicamente sulla propria innocenza e citando versi della Bibbia. Inoltre, a loro era stata comminata la pena accessoria di interdizione perpetua dagli incarichi pubblici o di elezione popolare. Una settimana prima era capitata la stessa cosa al parroco di Mulukukú, anche lui condannato a dieci anni di prigione.
Mons. Álvarez, una delle voci più critiche riguardo alla violazione dei diritti umani nel Paese, ha invece preferito il carcere all’esilio. Inoltre, è stato privato della nazionalità e i suoi diritti di cittadino sono stati sospesi a vita. Se il suo nome è almeno presente nella famigerata lista, non figura quello di due sacerdoti in attesa di giudizio accusati di tradimento della patria. L’oppressione nei confronti della Chiesa nicaraguense da parte del regime di Ortega deriva dalla sua convinzione che essa avrebbe protetto i manifestanti che nell’aprile 2018 erano scesi in strada per una rivolta pacifica, repressa brutalmente e costata trecentocinquanta morti.
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