Niente smuove la misericordia come il nostro cuore realmente contrito e umiliato

Lectio divina di Papa Francesco sull’episodio, raccontato nel Libro di Daniele, dei tre giovani gettati nella fornace da Nabucodonosor.

“Ascoltare la Scrittura a partire dalla realtà dell’oggi dischiude e comunica ulteriori significati, che in essa sono contenuti. La pagina biblica giunge a compimento nelle nostre orecchie (cfr Lc 4,17-21) e rivela un senso ulteriore, che ci era sfuggito forse o che non avevamo ben compreso, e che proprio grazie all’oggi ci viene manifestato.”

Ieri, alla Pontificia Università Lateranense, Papa Francesco ha proposto una lectio divina sul libro del profeta Daniele, in particolare sulla vicenda dei giovani Anania, Azaria e Misaele che furono gettati in una fornace dal re babilonese Nabucodonosor perché si rifiutavano di adorare la sua statua d’oro, con il successivo intervento divino che impedì che le fiamme potessero far loro del male (Dn 3, 25. 34-43). Si è soffermato, con ampie riflessioni, su diversi punti del racconto. Eccone alcune.

“Essere avvolti dalle fiamme e rimanere incolumi: lo si può con l’aiuto del Signore Gesù, il Figlio di Dio, e della brezza dello Spirito Santo. Vi immagino così: anche se viviamo in un contesto culturale segnato dal pensiero unico, che avvolge e addormenta tutti con il suo abbraccio mortifero e brucia ogni forma di creatività e di pensiero divergente, voi camminate incolumi grazie al radicamento in Gesù e nel suo Vangelo, reso attuale dalla potenza dello Spirito Santo. […] Questo pensiero unico, egoistico, rivolto soltanto su se stessi […] spesso si trasforma rapidamente in esaltazione del proprio io personale o del gruppo, in disprezzo e scarto degli altri, dei poveri, in rifiuto a lasciarsi interpellare dall’evidente rovina del creato! Questa è una vergogna! Farsi prendere per mano dal Signore, dagli angeli che Lui ci manda, seguire lo Spirito che è come il vento e di cui riconosciamo nell’oggi la voce, significa evitare di essere bruciati: bruciati nel cervello, nel cuore, nel corpo, nelle relazioni, in tutto ciò che mette in movimento la vita e la riempie di speranza. È dalla contemplazione del mistero stesso della Trinità di Dio, e dell’incarnazione del Figlio, che scaturisce per il pensiero cristiano e per l’azione della Chiesa il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti.

“Nella loro preghiera i tre giovani interpretano la storia del popolo. Pur essendo l’ultimo anello della catena delle generazioni di Israele, non si sentono altra cosa rispetto al popolo e alla sua storia. Essi sentono il peso di un conto aperto con il Signore e intonano una preghiera bellissima che è un riconoscimento di colpa e una richiesta di perdono. Le colpe sono dei padri, noi ne paghiamo le conseguenze, eppure in questo momento noi chiediamo perdono a nome di tutti. Nessuna presa di distanza, ma riconoscimento che gli sbagli dei padri possono essere ripetuti, essere attualizzati, anche dalla generazione di oggi. C’è una solidarietà nel peccato, che diventa solidarietà nella confessione di fede: Dio che è misericordia infinita avrà pietà dei padri e anche di noi.”

“Ci sono state stagioni della storia in cui Israele non ha avuto più né principi (cioè re-pastori che lo guidassero per conto di Dio), né tempio (la roccia salda della presenza della Gloria di Dio in mezzo al popolo). In quei momenti Dio ha comunque mandato dei profeti, perché il popolo non rimanesse privo della sua Parola e della sua guida. Invece Azaria sottolinea che ora, nell’esilio in Babilonia, non ci sono più nemmeno quelli! Non ci sono i profeti. Che rimane da fare? Nient’altro che presentarsi a Dio con un cuore contrito e lo spirito umiliato.”

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