Alla nuova teologia non corrisponde una nuova arte sacra

La mancata traduzione dello spirito conciliare in un coerente stile estetico frena una visione rinnovata dei temi cristiani.

È ormai da due secoli che la Chiesa non ha più una relazione organica e strutturata con una cultura artistica di alto livello. Questo rapporto, ora episodico e marginale, non esiste più perché è profondamente mutato il mondo che giustificava l’arte sacra con le sue narrazioni, i suoi ruoli sociali, le sue funzioni antropologiche. Di conseguenza, è necessario comprendere questo cambiamento per non rischiare di rimanere dentro un immaginario non corrispondente alla realtà, come se la Chiesa fosse ancora una grande e autorevole committente, e ignaro dei bisogni di un cattolicesimo fortemente mutato.

Con questa riflessione pubblicata su Avvenire, don Giuliano Zanchi, direttore scientifico della Fondazione Adriano Bernareggi della diocesi di Bergamo, ha affrontato la questione del rapporto tra opere d’arte cristiana e Parola. La tradizione tridentina aveva posto le immagini al servizio del racconto della storia sacra e dell’illustrazione delle interpretazioni dottrinalistiche. Ma, con il Concilio Vaticano II, l’approccio alla Scrittura è cambiato radicalmente: oggi non si legge più la Genesi con gli stessi schemi di un tempo. È quindi palese come l’iconografia che ha commentato la Bibbia per secoli non sia sufficiente a rivelare i significati che ora ne sappiamo trarre.

Alla nuova teologia, dice don Zanchi, non corrisponde un nuovo impianto figurativo, il quale protrae ancora i vecchi modelli. Questo approccio acritico frena una visione rinnovata dei temi cristiani ispirati a una lettura coerente della Parola, nonostante la variegata arte del Novecento abbia introdotto molte opportunità per darvi un senso adatto alla contemporaneità. Lo stallo che ne deriva è legato alla mancata traduzione dello spirito conciliare in un coerente stile estetico, che metta da parte il vecchio primato dell’immagine illustrativa. In fondo, il disagio cattolico rispetto all’arte attuale rispecchia quello nei confronti della cultura contemporanea.

Affrontare il problema permetterebbe di evitare da una parte gli impulsi regressivi dei detrattori, dall’altra l’eccesso di entusiasmo che rischia la superficialità. Per fornire i giusti strumenti di comprensione dell’arte contemporanea occorrono competenze, la predisposizione a comprenderla e l’umiltà di lasciarsi sorprendere. I rari casi di qualità in cui l’arte ha provato a rimettersi a servizio della liturgia sono legati a iniziative individuali, non a condivisioni comunitarie. Ma questa non è semplicemente una questione di gusto e aggiornamento delle forme, ma di linea pastorale, espressione spirituale e coscienza ecclesiale.

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L’opera

Il Trittico della misericordia di Filippo Rossi (2005, tecnica mista con acrilico e foglia oro su legno, commissione privata), opera non figurativa, rappresenta la misericordia che Cristo, al momento della Crocifissione (pannello centrale), effonde dalla Croce al ladrone buono (pannello di destra) che si apre alla luce divina e ne è immerso, mentre il ladro impenitente (pannello di sinistra) rimane nel buio impedendo al bagliore dorato di penetrare in lui.