Nel racconto biblico del sogno di Giacobbe, un luogo anonimo diventa lo spazio dell’esperienza inattesa e della memoria.
Nel racconto biblico del sogno di Giacobbe, un luogo anonimo diventa lo spazio dell’esperienza inattesa e della memoria.
Secondo i dettami del Concilio Vaticano ll, la Chiesa deve scrutare i segni dei tempi, interpretandoli alla luce della Scrittura. A essi si possono però associare anche i segni dei luoghi, visto che lo spazio abitato dall’essere umano non è solo uno scenario, ma anche un qualcosa che ci parla nella realtà quotidiana. Questo allargamento di prospettiva, pensato da Emanuele Borsotti della Comunità di Bose in un articolo sul numero 207 di Lettera End, periodico dell’Associazione Équipes Notre-Dame, fa riferimento a un abitante contemplativo del mondo, che vive i luoghi scoprendone la grazia e la profondità e venendo così connesso a uno spazio che va oltre i confini fisici.
Nel racconto biblico del sogno di Giacobbe (Gen. 28,10-22), il termine “luogo” compare per sei volte. Nella notte in cui fugge da casa e dal fratello, dove l’oscurità è simbolo di esilio e chiusura dell’amore, egli capita in un posto senza nome, dove si ferma per dormire. Questa sosta gli permette di fare una profonda esperienza di un luogo. In sogno vede una scala che collega la terra al cielo, lo spazio umano a quello divino, sulla quale una serie di angeli salgono e scendono. Se salgono, vuol dire che erano già sulla terra, che non è quindi mai stata abbandonata a sé stessa. Questa buona notizia fa capire all’uomo che la propria dimensione spirituale è sempre connessa al cielo e la salita o la discesa dipende dalle proprie azioni.
Al risveglio, Giacobbe esclama: “Certo davvero il Signore è in questo luogo”. Lo stesso luogo a cui era giunto nella notte gli appare in modo diverso: quello che è mutato è il suo sguardo. Nel passaggio dall’inconsapevolezza alla consapevolezza, uno spazio anonimo può diventare unico grazie al lavoro nell’intimo della persona, perché è lì che Dio si è rivelato. Per avere profondamente l’esperienza di un luogo è quindi necessario uno svuotamento di sé, mettendo da parte l’ingombro del proprio io. Per vedere la manifestazione del divino, non bisogna essere occupati a prestare attenzione a sé stessi.
Con questa consapevolezza, Giacobbe dice: “Quanto è terribile questo luogo”. È terribile perché genera tremore, un brivido che nell’esperienza umana segna la giusta e riverente distanza da Dio. Per ricordare quello che gli è successo, il protagonista del racconto biblico prende la pietra che aveva usato come cuscino, la erige come stele e la benedice, facendo di un elemento orizzontale del paesaggio un segno verticale puntato verso il cielo. Il luogo diventa memoria, il luogo non sarà più anonimo: si chiamerà Betel.
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