A causa di leggi inique, i social network sono sempre più una fonte per lanciare false accuse contro le minoranze religiose.
A causa di leggi inique, i social network sono sempre più una fonte per lanciare false accuse contro le minoranze religiose.
Quando la madre di Imran Rehman è andata a visitarlo nella prigione di Lahore, ha ascoltato dalla sua voce in quale condizione fosse detenuto: rinchiuso da due mesi in una cella dove quattro carcerati su sei soffrono di un ritardo mentale, cosa che gli procura un forte stress, è stato più volte torturato dai secondini che vogliono estorcerli una confessione. L’accusa che lo ha portato alla detenzione riguarda l’aver postato materiale blasfemo su un gruppo di WhatsApp. Imran Rehman è cristiano.
AsiaNews riporta che la denuncia contro di lui è stata subito accolta dalla Federal Investigation Agency, il dipartimento che si occupa di crimini informatici. Il suo avvocato ha dichiarato che questo caso è una palese violazione delle norme, perché non si può procedere all’arresto senza emettere un avviso di garanzia e senza permettere all’accusato di difendersi nel corso delle indagini. L’attivista per i diritti umani Ashiknaz Khokhar ha sottolineato come in Pakistan i media digitali e i social network siano un campo da dove lanciare false accuse contro i fedeli delle minoranze religiose.
Le attuali leggi sulla blasfemia, dice il presidente di Voice for justice Joseph Jansen, sono incompatibili con le regole internazionali sui diritti umani, in quanto non garantiscono un processo equo e la libertà religiosa. Se l’accusatore presenta prove e testimonianze false, gode dell’impunità. Se una folla prende come pretesto presunti atti blasfemi per compiere violenze, viene giustificata con la debolezza del sistema giudiziario.
Queste norme e interpretazioni possono essere dunque usate per limitare la libertà di espressione, pensiero, coscienza e religione. I casi, purtroppo, sono parecchi. Zafar Bhatti è in carcere dal luglio 2012 ed è stato condannato a morte nel gennaio 2022. Le accuse di blasfemia nei suoi confronti non sono fondate su elementi provati, ma intanto hanno anche completamente rovinato la vita dei suoi familiari. La moglie di Rehman ha raccontato che «Da quando è stato arrestato, mia figlia di quattro anni non ha potuto frequentare la scuola e dare da mangiare a mia figlia di due anni è diventato difficile, perché lui era l’unico a portare a casa il pane».
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