Panama, vescovi contro le ennesime concessioni minerarie

Nuove e vecchie aree, anche indigene e protette, rischiano di subire danni ambientali e sociali per l’estrazione di oro, rame e tungsteno.

I vescovi di Panama lanciano l’allarme per lo sfruttamento minerario, sostenuto dal governo, di immense aree, che rischia di causare danni ambientali e produrre alti costi sociali. Le ultime concessioni, che si aggiungono alle numerose già esistenti, riguardano venticinque milioni di ettari sparsi in tutto il paese, da Colón lungo la costa atlantica settentrionale alla centrale Coclé sul versante pacifico, fino a zone indigene protette come Ngäbe-Bugle e alle province meridionali di Veraguas (già colpita dalla presenza di cianuro nelle acque), Herrera e Los Santos.

Panama – arricchitosi con la finanza, il commercio e i servizi connessi soprattutto al canale che unisce l’Atlantico e il Pacifico – sta cercando di diversificare la propria economia anche in seguito alle conseguenze della pandemia, puntando, come molti altre nazioni dell’America Latina, alle risorse minerarie, soprattutto oro, rame e tungsteno. Ma molti rappresentanti della società civile non ci stanno, come anche la Chiesa locale. All’Agenzia SIR, mons. Manuel Ochogavía Barahona, segretario generale della Conferenza episcopale panamense e vescovo di Colón-Kuna Yala, racconta:

«Abbiamo una zona forestale di montagna, che costituisce un parco nazionale. È parte integrante del corridoio mesoamericano, una foresta di valore inestimabile, che a sud, attraverso il Darién, si unisce in Colombia alla foresta del Chocó. Qui in precedenza c’era una miniera d’oro, che ora verrà riattivata. Nei pressi, sarà aperto un giacimento di rame. Le concessioni sono state date a una società con soci del Canada e del Sudafrica. […] Si tratta di giacimenti a cielo aperto. Già con la precedente miniera d’oro abbiamo visto gli effetti del mercurio sull’acqua. Per gli impianti viene usato carbone fossile, messo al bando a livello internazionale. L’impatto ambientale è molto forte e non c’è la volontà di mettere in atto un monitoraggio attendibile”.

I problemi, dunque, riguardano lo sfruttamento delle risorse, l’inquinamento, i danni alla biodiversità, ma anche la perdita di diritti. Infatti, le leggi esistenti impongono agli stessi abitanti di chiedere un permesso per raggiungere le proprie case situate all’interno dei territori in concessione, dove tra l’altro sorge anche una chiesa. Un sostegno alla causa arriva dalla Rete Ecclesiale Ecologica Mesoamericana (Remam) e da realtà religiose come quella dei clarettiani, nel tentativo di mobilitare le comunità locali.