La pandemia, una lezione di fragilità, finitezza e vulnerabilità

Il nuovo documento della Pontificia Accademia per la Vita è dedicato all’interpretazione della crisi sanitaria globale.

«Fragili. Ecco cosa siamo tutti: radicalmente segnati dall’esperienza della finitudine che è al cuore della nostra esistenza; non si trova lì per caso, non ci sfiora con il tocco gentile di una presenza transitoria, non ci lascia vivere indisturbati nella convinzione che tutto andrà secondo i nostri piani. Affioriamo da una notte dalle origini misteriose: chiamati a essere oltre ogni scelta, presto arriviamo alla presunzione e alle lamentele, rivendicando come nostro quello che ci è stato solamente concesso. […] Con la pandemia, le nostre rivendicazioni di autodeterminazione autonoma hanno subito un duro colpo, un momento di crisi che richiede un discernimento più profondo.»

Questa e altre riflessioni sono contenute nel nuovo documento della Pontificia Accademia per la Vita L’Humana communitas nell’era della pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita, dedicato all’interpretazione della crisi sanitaria globale. La pandemia non è solo il risultato di avvenimenti naturali, ma anche dei modelli umani di sviluppo e consumo, che hanno mostrato di essere costruiti sulla prevaricazione e sul disprezzo nei confronti di ciò che ci è stato dato nella promessa primordiale della creazione. Per questo, occorre riconsiderare il nostro rapporto con la natura, soprattutto perché nel mondo siamo ormai tutti interconnessi e chi abita nelle zone più povere del mondo subisce le conseguenze più tragiche.

«Le lezioni di fragilità, finitezza e vulnerabilità ci conducono alla soglia di una nuova visione: promuovono un ethos di vita che richiede un impegno dell’intelligenza e il coraggio di una conversione morale. Imparare una lezione significa farsi umili, significa cambiare, cercando risorse di senso fino ad allora non sfruttate, forse sconfessate. Imparare una lezione significa diventare consapevoli, ancora una volta, della bontà della vita che si offre a noi, liberando un’energia che corre anche più in profondità dell’esperienza inevitabile della perdita, che deve essere elaborata e integrata nel significato della nostra esistenza. Questa occasione può essere la promessa di un nuovo inizio per l’humana communitas, la promessa della rinascita della vita?»

Sì, se giungiamo a una nuova considerazione della realtà esistenziale del rischio ed elaboriamo allo stesso tempo un concetto di solidarietà che si estende ben oltre l’impegno generico di aiutare coloro che soffrono. Il bene comune non può essere conseguito senza una vera conversione dei cuori e delle menti al senso di responsabilità. Ciò implica una definizione di comunità che rifiuta ogni provincialismo e l’esclusione di determinate persone, oggi messe alle porte dell’humana communitas in attesa di ricevere il riconoscimento del proprio status.

«La vera questione attuale affrontata dalla famiglia umana è il significato morale e non meramente strategico di solidarietà. La solidarietà implica la responsabilità verso l’altro che vive nel bisogno, ed è radicata nel riconoscere che, in quanto essere umano dotato di dignità, ogni persona è un fine in sé stesso, non un mezzo. L’articolazione della solidarietà quale principio di etica sociale si basa sulla realtà concreta di una presenza personale nel bisogno, che grida per essere riconosciuta. […] Siamo chiamati a un atteggiamento di speranza, che va oltre l’effetto paralizzante di due tentazioni opposte: da una parte, la rassegnazione che sottende passivamente agli eventi, e dall’altra, la nostalgia per un ritorno al passato, che si riduce al desiderare ciò che esisteva prima. Invece, è tempo di immaginare e attuare un progetto di coesistenza umana che consenta un futuro migliore per ciascuno.»

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