Discorso di Papa Francesco ai membri della Pontificia Commissione Biblica.
Discorso di Papa Francesco ai membri della Pontificia Commissione Biblica.
«La malattia e la finitudine nel pensiero moderno vengono spesso considerate come una perdita, un non-valore, un fastidio che bisogna minimizzare, contrastare e annullare ad ogni costo. Non ci si vuole porre la domanda sul loro significato, forse perché se ne temono le implicazioni morali ed esistenziali. […] È una realtà che fa paura e che, quando irrompe e assale, può lasciare l’uomo sconvolto, fino ad incrinarne la fede. La persona allora è posta di fronte a un bivio: può permettere alla sofferenza di portarla al ripiegamento su di sé, fino alla disperazione e alla ribellione; oppure può accoglierla come un’occasione di crescita e di discernimento su ciò che nella vita conta veramente, fino all’incontro con Dio».
È quest’ultima la visione di fede che troviamo nella Sacra Scrittura, ha detto Papa Francesco nel suo discorso consegnato ieri ai membri della Pontificia Commissione Biblica in occasione della loro annuale assemblea plenaria, che ha affrontato il tema “La malattia e la sofferenza nella Bibbia”. Nell’Antico Testamento, ha continuato, l’uomo vive la malattia con il pensiero costantemente rivolto a Dio. Nel Nuovo Testamento Gesù, con le guarigioni miracolose che sono tra gli avvenimenti principali della sua attività pubblica, diventa il segno di Dio sulla Terra. Esso mostra così il suo amore per i deboli fino a identificarsi con loro, dicendo: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). La Passione, poi, è il culmine della solidarietà di Dio con noi e, nello stesso tempo, la possibilità per noi di unirci a Lui nell’opera salvifica. Dopo la Risurrezione, inoltre, il Signore, affidando ai discepoli il mandato di continuare la sua opera, chiede loro di curare i malati.
«La Bibbia non offre così una risposta banale e utopica alla domanda sulla malattia e sulla morte, né una risposta fatalistica, che giustifichi tutto attribuendolo ad un incomprensibile giudizio divino, o peggio a un destino inesorabile davanti al quale non resta che piegarsi senza comprendere. L’uomo biblico si sente piuttosto invitato ad affrontare la condizione universale del dolore come luogo di incontro con la vicinanza e la compassione di Dio, Padre buono, che con infinita misericordia si fa carico delle sue creature ferite per curarle, risollevarle e salvarle. […] per il cristiano anche l’infermità è un dono grande di comunione, con cui Dio lo rende partecipe della sua pienezza di bene proprio attraverso l’esperienza della sua debolezza».
Il Papa ha proseguito il suo discorso dicendo che il modo in cui viviamo il dolore ci parla della nostra possibilità di amare e di lasciarci amare, della nostra capacità di dare senso alle vicende dell’esistenza nell’ottica della carità, della nostra disponibilità ad accogliere il limite come occasione di crescita e redenzione. Insomma, l’esperienza della malattia ci insegna a vivere la solidarietà umana e cristiana secondo lo stile di Dio che è vicinanza, compassione e tenerezza. Come insegna la parabola del buon samaritano, chinarsi sul dolore degli altri non è una scelta opzionale, ma una condizione irrinunciabile per la piena realizzazione di sé e la costruzione di una società veramente inclusiva.
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