Le quattro vicinanze fondamentali nella vita di un sacerdote

Discorso di Papa Francesco ai partecipanti al simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”.

Nel lungo discorso ai partecipanti al simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”, promosso dalla Congregazione per i vescovi, Papa Francesco si è soffermato su ciò che sente essere decisivo per la vita di un sacerdote di oggi. Gli atteggiamenti che danno solidità alla sua esistenza si possono ricondurre a quattro vicinanze, che aiutano in modo pratico, concreto e speranzoso a ravvivare il dono che un giorno gli è stato promesso.

La prima è la vicinanza a Dio, il Signore delle vicinanze. Un sacerdote è invitato innanzitutto a coltivare l’intimità col Signore, perché da questa relazione potrà attingere tutte le forze necessarie per il suo ministero. Come è stato per Gesù, ci saranno momenti di gioia e riposo e momenti di ingratitudine e di dubbio, ma la vicinanza a Lui ci invita a non temere queste ore. Quando questo rapporto assume la forma di una lotta, soprattutto nei momenti in cui si fa sentire la sua assenza, occorre continuare a chiedere la sua benedizione. Un’eventuale crisi sacerdotale deriva proprio da una mancata intimità con il Signore, data da una scarsa vita di preghiera e da una riduzione della vita spirituale a mera pratica religiosa. Invece, un prete che prega, ritagliandosi nella giornata uno spazio di silenzio e non fuggendo da ciò con l’attivismo, fa continuamente memoria di essere figlio e di avere un Padre che lo ama.

C’è poi, aggiunge il pontefice, la vicinanza al vescovo. Per un prete, obbedire a lui significa imparare ad ascoltare e ricordarsi che nessuno può dirsi detentore della volontà di Dio, la quale va compresa solo attraverso il discernimento. Tale atteggiamento permette di maturare l’idea che nessuno è il principio e il fondamento della vita, ma ognuno deve necessariamente confrontarsi con gli altri. Per questo, il vescovo stesso è strumento di questo discernimento solo se anch’egli si mette in ascolto della realtà dei suoi presbiteri e del popolo che gli è affidato. Quindi, l’obbedienza può essere confronto, ascolto e, in alcuni casi, tensione, ma non si rompe. Questo richiede che i sacerdoti sappiano esprimere il proprio parere con rispetto, coraggio e sincerità e ai vescovi umiltà e capacità di ascolto, di autocritica e di lasciarsi aiutare.

La terza vicinanza, continua il Papa, è quella tra presbiteri, che si trasforma in una fraternità che rifugge la solitudine e l’indifferenza e tende alla pazienza e alla capacità di sentirci responsabili degli altri e di portare i loro pesi. Non serve dunque vantarsi o assumere atteggiamenti irrispettosi che scadono anche nel bullismo clericale, perché un sacerdote, se ha qualcosa di cui vantarsi, è la misericordia del Signore. L’amore fraterno non cerca il proprio interesse e non lascia spazio all’invidia o al risentimento, ma si compiace della verità e considera un peccato grave attentare alla dignità altrui attraverso le calunnie, la maldicenza, il chiacchiericcio. Così, esso non resta chiuso in un piccolo gruppo, ma si declina come carità pastorale che spinge a viverlo concretamente nella missione.

Infine, Papa Francesco parla di vicinanza al popolo, da vivere non come un dovere ma come una grazia. L’identità sacerdotale, infatti, non si può capire senza l’appartenenza al popolo fedele di Dio e per comprenderla il presbitero necessita di vivere in stretto rapporto con la vita reale della gente, senza nessuna via di fuga. Il popolo di Dio spera di trovare pastori con lo stile di Gesù e non chierici funzionari di Stato o professionisti del sacro. Cerca pastori che sappiano cos’è la compassione, capaci di fermarsi davanti a chi è ferito e di tendere la mano, che siano contemplativi sappiano annunciare sulle piaghe del mondo la forza operante della Risurrezione.

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