Bergoglio non avrebbe mai immaginato di finire qui

Intervista a Papa Francesco dell’agenzia di stampa Télam.

«Sono arrivato in Vaticano con una valigetta, con i vestiti che avevo addosso e poco più. Inoltre, ho lasciato a Buenos Aires le prediche preparate per la Domenica delle Palme. Ho pensato: nessun Papa inizia il suo ministero la Domenica delle Palme, quindi tornerò a casa il sabato. In altre parole, non avrei mai immaginato che sarei stato qui».

Con queste semplici parole Papa Francesco ha descritto il suo arrivo in Vaticano poco prima di essere eletto pontefice, con una nomina totalmente inaspettata. Lo ha detto nel corso dell’intervista fattagli da Bernarda Llorente dell’agenzia di stampa argentina Télam, a Casa Santa Marta. Nel lungo colloquio sono stati toccati molti temi, a partire dal modo in cui l’umanità sta cercando di uscire dalla pandemia. Il Papa ha affermato che la direzione che stiamo prendendo non gli sta piacendo, soprattutto perché la crescita che c’è in alcuni settori è selettiva. Invece, dalla crisi o ne usciamo tutti o nessuno. Inoltre, non possiamo tornare alla falsa sicurezza delle strutture politiche ed economiche che avevamo prima. Anche perché, a fianco dei problemi sociali che stanno portano a una crisi di civiltà, sono sempre più evidenti i cambiamenti climatici che dimostrano come stiamo prendendo a schiaffi in continuazione la creazione, usando male le nostre forze. Ma sulla Terra tutto deve essere armonioso, perché non si può pensare alla persona umana senza la natura. Per questo non possiamo separare il sociale dall’ambiente.

Un altro tema trattato nell’intervista è stato quello dei giovani. Per Papa Francesco, il loro disimpegno politico è dovuto a uno scoraggiamento che non permette loro di diventare protagonisti della storia, perché sono il presente e il futuro. È importante che gli adulti li aiutino, visto che il pontefice li ritiene più svegli di una volta e ha fiducia in loro. Occorre anche che i giovani dialoghino con gli anziani, per entrare in contatto con le radici e appropriarsi dell’eredità che fa crescere. In generale, ha continuato il Papa, occorre il confronto con l’altro lasciando da parte il narcisismo, lo scoraggiamento e il pessimismo, altrimenti non si cresce.

La mancanza di dialogo e ascolto è ciò che manca nella guerra mondiale a pezzi che stiamo vivendo da ormai troppo anni. Egli ha detto: «Credo sia giunto il momento di ripensare il concetto di “guerra giusta”. Ci può essere una guerra giusta, c’è il diritto di difendersi, ma il modo in cui il concetto viene usato oggi deve essere ripensato. [….] Risolvere le cose con una guerra significa dire no alla capacità di dialogo, di essere costruttivi, che gli uomini hanno. […] Non sappiamo ascoltarci. Non permettiamo all’altro di dire la sua. Bisogna ascoltare. Ascoltare quello che dice, ricevere. Dichiariamo guerra prima, cioè interrompiamo il dialogo. Perché la guerra è essenzialmente una mancanza di dialogo».

In un altro passaggio dell’intervista, la giornalista ha chiesto a Papa Francesco un bilancio del suo pontificato, che l’anno prossima arriverà a dieci anni, e se fosse riuscito a realizzare i suoi obiettivi. La risposta è stata questa: «Le cose che ho fatto non le ho inventate né sognate dopo una notte di indigestione. Ho raccolto tutto ciò che i cardinali avevano detto nelle riunioni pre-conclave che il prossimo Papa avrebbe dovuto fare. Poi abbiamo detto le cose che dovevano essere cambiate, i punti che dovevano essere toccati. Quello che ho messo in moto è stato quello che mi è stato chiesto. Non credo che ci sia nulla di originale da parte mia, ma ho avviato ciò che avevamo deciso tutti insieme». Allora lei le ha affermato che però c’è un’impronta sua, un’impronta della chiesa latinoamericana. Il papa ha dovuto ammettere: «Questo sì».

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