Discorso di Papa Francesco alla delegazione del Simon Wiesenthal Center sulla memoria e sull’odio.
Discorso di Papa Francesco alla delegazione del Simon Wiesenthal Center sulla memoria e sull’odio.
«Oggi, assorbiti nel vortice delle cose, fatichiamo a fermarci, a guardarci dentro, a fare silenzio per ascoltare il grido dell’umanità sofferente. Il consumismo odierno è anche verbale: quante parole inutili, quanto tempo sprecato a contestare e accusare, quante offese urlate, senza curarsi di quel che si dice. Il silenzio, invece, aiuta a custodire la memoria. Se perdiamo la memoria, annientiamo il futuro.»
Nel discorso di ieri alla delegazione del Simon Wiesenthal Center, ente globale contro antisemitismo, razzismo e odio delle minoranze, Papa Francesco ha ricordato di quando quattro anni fa sostò a pregare in silenzio nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, di cui il prossimo 27 gennaio (Giorno della memoria) decorre il 75° anniversario della liberazione. Il ricordo dell’olocausto, indicibile crudeltà, ci serve per non diventare indifferenti e rendere il mondo un luogo migliore nel rispetto della dignità umana indipendentemente dall’origine, dalla religione e dallo status sociale.
«Preoccupa l’aumento, in tante parti del mondo, di un’indifferenza egoista, per cui interessa solo quello che fa comodo a sé stessi: la vita va bene se va bene a me e, quando qualcosa non va, si scatenano rabbia e cattiveria. Così si preparano terreni fertili ai particolarismi e ai populismi, che vediamo attorno a noi. Su questi terreni cresce rapido l’odio. […] Per affrontare il problema alla radice, dobbiamo però impegnarci anche a dissodare il terreno su cui cresce l’odio, seminandovi pace. È infatti attraverso l’integrazione, la ricerca e la comprensione dell’altro che tuteliamo maggiormente noi stessi. Perciò è urgente reintegrare chi è emarginato, tendere la mano a chi è lontano, sostenere chi è scartato perché non ha mezzi e denaro, aiutare chi è vittima di intolleranza e discriminazione.»
Il Papa ha concluso il discorso sottolineando che ebrei e cristiani sono chiamati, partendo dal loro ricco patrimonio spirituale comune, non a prendere le distanze ed escludere, ma a farsi vicini e includere; non ad assecondare soluzioni di forza, ma a avviare percorsi di prossimità. Se non lo mettono in pratica coloro che credono in Colui che ha preso a cuore le nostre debolezze, chi lo farà?
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