Siamo chiamati a impegnarci perché non ci siano più gli altri, ma solo un noi

Messaggio di Papa Francesco per la 107ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato.

“Verso un noi sempre più grande” è il tema del messaggio di Papa Francesco per la 107ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (che si terrà il 26 settembre), scelto per indicare un orizzonte in cui, dopo la pandemia, si abbandoni il consumismo e l’egoismo protezionistico per pensare al comune cammino degli esseri umani. Questo orizzonte è presente nello stesso progetto creativo di Dio, in cui uomo e donna sono stati creati diversi e complementari per formare insieme un noi. Inoltre, la loro disobbedienza ha portato il Padre a essere misericordioso e a offrire a tutta l’umanità che si è poi generata, non a singoli individui, un cammino di riconciliazione.

«La storia della salvezza vede dunque un noi all’inizio e un noi alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21). Il tempo presente, però, ci mostra che il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e sfigurato. […] I nazionalismi chiusi e aggressivi e l’individualismo radicale sgretolano o dividono il noi, tanto nel mondo quanto all’interno della Chiesa. E il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, che abitano le periferie esistenziali. In realtà, siamo tutti sulla stessa barca e siamo chiamati a impegnarci perché non ci siano più muri che ci separano, non ci siano più gli altri, ma solo un noi, grande come l’intera umanità.»

Per i cattolici, continua il pontefice, ciò vuol dire realizzare quanto san Paolo raccomandava alla comunità di Efeso, ovvero essere un solo corpo e un solo spirito (Ef 4,4). Per questa comunione occorre incontrare le diversità (degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati) e armonizzare le differenze, senza mai imporre una uniformità che spersonalizza. Ogni fedele è chiamato a impegnarsi a partire dalla comunità in cui vive e la Chiesa a uscire per le strade delle periferie esistenziali, dove abitano anche migranti, rifugiati, sfollati e vittime di tratta.

«A tutti gli uomini e le donne del mondo va il mio appello a camminare insieme verso un noi sempre più grande, a ricomporre la famiglia umana, per costruire assieme il nostro futuro di giustizia e di pace, assicurando che nessuno rimanga escluso. Siamo chiamati a impegnarci perché non ci siano più gli altri, ma solo un noi […] È l’ideale della nuova Gerusalemme, dove tutti i popoli si ritrovano uniti, in pace e concordia, celebrando la bontà di Dio e le meraviglie del creato. Ma per raggiungere questo ideale dobbiamo impegnarci tutti per abbattere i muri che ci separano e costruire ponti che favoriscano la cultura dell’incontro, consapevoli dell’intima interconnessione che esiste tra noi. […] Si tratta di un impegno personale e collettivo, che si fa carico di tutti i fratelli e le sorelle che continueranno a soffrire mentre cerchiamo di realizzare uno sviluppo più sostenibile, equilibrato e inclusivo.»

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