Omelia di Papa Francesco nell’anno ignaziano e nel IV centenario della canonizzazione dei Ss. Ignazio di Loyola, Teresa di Gesù, Filippo Neri.
Omelia di Papa Francesco nell’anno ignaziano e nel IV centenario della canonizzazione dei Ss. Ignazio di Loyola, Teresa di Gesù, Filippo Neri.
Sabato si è celebrata una messa per l’anno ignaziano e in occasione del quarto centenario della canonizzazione dei santi Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa di Gesù, Isidoro l’Agricoltore e Filippo Neri, presieduta da p. Arturo Sosa Abascal sj, preposito generale della Compagnia di Gesù. L’omelia è stata però tenuta da Papa Francesco, che ha individuato nel Vangelo della Trasfigurazione quattro azioni di Cristo da seguire per trovare nei suoi gesti le indicazioni per il nostro cammino.
Innanzitutto, Egli «prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni» (Lc 9,28), ovvero è lui che ha scelto e chiamato accanto a sé i discepoli, senza che loro avessero alcun merito. Essi hanno dunque ricevuto un dono gratuito, quello dell’amore di Dio. Il nostro cammino deve ripartire tutti i giorni da questa grazia originaria, da ricordare ogni qualvolta proviamo amarezze e delusioni, ci sentiamo sminuiti o incompresi, ci perdiamo in rimpianti e nostalgie. Inoltre, i discepoli sono chiamati insieme, perché la chiamata radicata nella comunione. Per rimanere nella Chiesa, dobbiamo farlo come comunità e nella fraternità, evitando individualismi, ideologie e clericalismi.
Poi, prosegue il pontefice, Gesù «salì sul monte» (v. 28), percorrendo una strada in ascesa: la luce della trasfigurazione arriva dopo un cammino faticoso. Per seguirlo bisogna quindi lasciare le pianure della mediocrità e delle abitudini rassicuranti e le discese della comodità. Solo la salita della croce conduce alla meta della vera gloria, che non si raggiunge tramite vie diritte, spianate e ripetitive ma faticando e lottando. Ognuno di noi si può trovare di fronte a questo bivio, magari pensando di rimanere in una fede “parcheggiata” e ritenendosi un discepolo per bene. Ma in questo modo ci si addormenta, l’anima diventa anestetizzata perché la vita va bene se va bene a me, chiudendo gli occhi sulla realtà e perdendo di vista le piaghe dei fratelli. Invece si può fare come Pietro, che mentre Gesù parla di esodo dice: «È bello essere qui» (v. 33).
Gesù è salito sul monte «a pregare» (v. 28) e proprio dalla preghiera nasce la trasfigurazione. La preghiera riesce a trasformare l’uomo, la realtà, la storia se è una missione attiva, un’intercessione continua. Essa è viva se ci scardina dentro, riaccende la nostra gioia, ci provoca lasciandoci inquietare dal grido sofferente del mondo. Infine, conclude il Papa, c’è una quarta azione: «Restò Gesù solo» (v. 36). Tutto è passato, rimane solo Lui come testamento del Padre: «Ascoltatelo» (v. 35). Il Vangelo termina la narrazione dell’episodio riportandoci all’essenziale, ricordandoci di evitare la tentazione di far diventare primari tanti bisogni secondari. Concentrarsi su usi, abitudini e tradizioni ferma il cuore si ciò che è stato e fa dimenticare quello che resta. Per evitarlo è importante lavorare sul cuore, così da distinguere ciò che è secondo Dio, e rimane, da quello che è secondo il mondo, e passa.
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