Omelia di Papa Francesco per la Conversione di san Paolo apostolo e la LVII Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
Omelia di Papa Francesco per la Conversione di san Paolo apostolo e la LVII Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
«Tra di noi non dovremmo mai porci la domanda “chi è il mio prossimo?”. Perché ogni battezzato appartiene allo stesso Corpo di Cristo; e di più, perché ogni persona nel mondo è mio fratello, mia sorella, e tutti componiamo la “sinfonia dell’umanità”, di cui Cristo è primogenito e redentore. […] Non dunque “chi è il mio prossimo?”, ma “io mi faccio prossimo?” Io e poi la mia comunità, la mia Chiesa, la mia spiritualità, si fanno prossime? O restano barricate in difesa dei propri interessi, gelose della loro autonomia, rinchiuse nel calcolo dei propri vantaggi, intavolando rapporti con gli altri solo per ricavarne qualcosa? Se così fosse, non si tratterebbe solo di sbagli strategici, ma di infedeltà al Vangelo».
Queste sono domande fondamentali che Papa Francesco ha posto ai fedeli durante la sua omelia di ieri alla messa per la celebrazione dei secondi vespri nella solennità della Conversione di san Paolo apostolo e nella cinquantasettesima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il riferimento evangelico è la domanda che un dottore della Legge pone a Gesù per metterlo alla prova (Lc 10,29). Gesù non casca nella provocazione e non risponde creando divisione tra chi si deve amare e chi si può ignorare. Raccontando la parabola del buon samaritano, egli mostra che quello che conta è la compassione, la cura, il servizio gratuito verso chi ne ha bisogno. Prima, il dottore aveva rivolto a Cristo un altro interrogativo: «Che devo fare per ereditare la vita eterna?» (Lc 10,25). Pensando alla conversione di Paolo, il pontefice ha detto:
«Non “che devo fare per ereditare?”, ma “che devo fare, Signore?”: il Signore è il fine della richiesta, la vera eredità, il sommo bene. Paolo non cambia vita sulla base dei suoi obiettivi, non diventa migliore perché realizza i suoi progetti. La sua conversione nasce da un capovolgimento esistenziale, dove il primato non appartiene più alla sua bravura di fronte alla Legge, ma alla docilità nei riguardi di Dio, in una totale apertura a ciò che Lui vuole. Non alla sua bravura ma alla sua docilità: dalla bravura alla docilità. Se Lui è il tesoro, il nostro programma ecclesiale non può che consistere nel fare la sua volontà, nell’andare incontro ai suoi desideri».
Occorre dunque mettere da parte la centralità delle nostre idee per cercare la voce del Signore e lasciare a Lui l’iniziativa. Partendo dalla conversione di sé e dalla preghiera, la via è camminare e servire insieme, perché quando i cristiani maturano nel servizio di Dio e del prossimo crescono anche nella comprensione reciproca. Come farlo? Il Signore disse a Paolo: “Alzati e prosegui”» (At 22,10). Conclude Francesco: «Alzati, dice Gesù a ciascuno di noi e alla nostra ricerca di unità. Alziamoci allora, nel nome di Cristo, dalle nostre stanchezze e dalle nostre abitudini, e proseguiamo, andiamo avanti, perché Lui lo vuole, e lo vuole «perché il mondo creda» (Gv 17,21).
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