Omelia di Papa Francesco nella Domenica delle palme e della Passione del Signore.
Omelia di Papa Francesco nella Domenica delle palme e della Passione del Signore.
«Le sofferenze di Gesù sono state tante, e ogni volta che ascoltiamo il racconto della passione ci entrano dentro. Sono state sofferenze del corpo: pensiamo agli schiaffi, alle percosse, alla flagellazione, alla corona di spine, alla tortura della croce. Sono state sofferenze dell’anima: il tradimento di Giuda, i rinnegamenti di Pietro, le condanne religiose e civili, lo scherno delle guardie, gli insulti sotto la croce, il rifiuto di tanti, il fallimento di tutto, l’abbandono dei discepoli. Eppure, in tutto questo dolore a Gesù restava una certezza: la vicinanza del Padre. Ma ora accade l’impensabile; prima di morire grida: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. L’abbandono di Gesù. Ecco la sofferenza più lacerante, è la sofferenza dello spirito: nell’ora più tragica Gesù prova l’abbandono da parte di Dio».
Riguarda la frase pronunciata sulla croce da Gesù, al culmine delle sofferenze che ha patito per salvarci, l’omelia di Papa Francesco nella messa di celebrazione della Domenica delle palme e della Passione del Signore. Prima di questo momento, egli non aveva mai chiamato il Padre con il nome generico di Dio. Il Suo abbandono è l’abbassamento estremo in cui Cristo arriva a soffrire per amore nostro e sperimentare il crollo di ogni certezza. Nella Bibbia, il verbo “abbandonare” compare in momenti di dolore estremo, nelle più drastiche lacerazioni dei legami. Gesù ha portato questo sulla croce, caricandosi il peccato del mondo. Perché è arrivato a tanto, si domanda il pontefice.
«Si è fatto solidale con ognuno di noi fino al punto estremo, per essere con noi fino in fondo. Ha provato l’abbandono per non lasciarci ostaggi della desolazione e stare al nostro fianco per sempre. L’ha fatto per me, per te, perché quando io, tu o chiunque altro si vede con le spalle al muro, perso in un vicolo cieco, sprofondato nell’abisso dell’abbandono, risucchiato nel vortice dei tanti “perché” senza risposta, ci sia una speranza. Lui, per te, per me. Non è la fine, perché Gesù è stato lì e ora è con te: Lui, che ha sofferto la lontananza dell’abbandono per accogliere nel suo amore ogni nostra distanza».
Il Signore, continua il Papa, ci salva così, dai nostri “perché”. Sulla croce, infatti, non si lascia andare oltre il limite della disperazione, ma prega e si affida nelle mani del Padre anche se non lo sente perché si trova abbandonato. Ecco che l’abisso dei nostri mali viene immerso in un amore più grande, così che ogni nostra separazione si trasformi in comunione. Cristo abbandonato ci smuove a cercarlo e ad amarlo negli abbandonati, perché in loro non ci sono solo dei bisognosi, ma c’è Lui. Egli desidera che ci prendiamo cura dei fratelli e delle sorelle che più gli assomigliano, quelli nell’atto estremo del dolore e della solitudine: i poveri, i migranti, i detenuti, i bambini non nati, gli ammalati non visitati, i disabili ignorati, i giovani sofferenti. Sono gli abbandonati di oggi, i cristi di oggi.
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