Omelia di Papa Francesco per le esequie del Papa emerito Benedetto XVI.
Omelia di Papa Francesco per le esequie del Papa emerito Benedetto XVI.
Giovedì 5 gennaio Papa Francesco ha celebrato la messa esequiale per il Papa emerito Benedetto XVI, deceduto il 31 dicembre 2022. L’ultima volta che un pontefice ha celebrato i funerali di un altro successore di Pietro è stato duecentoventi anni fa, nel 1802, quando Pio VII presiedette le esequie solenni di Pio VI, morto tre anni prima in esilio in Francia prigioniero di Napoleone (Vatican News). Nella sua omelia, Papa Francesco ha pronunciato il nome del defunto solo alla fine, quando ha detto: «Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce!», ma lo ha citato o si è riferito a suoi pensieri diverse volte. Egli ha proposto una riflessione spirituale incentrata sulle mani partendo dall’ultima frase detta da Gesù sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
«Sono le ultime parole che il Signore pronunciò sulla croce; il suo ultimo sospiro – potremmo dire –, capace di confermare ciò che caratterizzò tutta la sua vita: un continuo consegnarsi nelle mani del Padre suo. Mani di perdono e di compassione, di guarigione e di misericordia, mani di unzione e benedizione, che lo spinsero a consegnarsi anche nelle mani dei suoi fratelli. Il Signore, aperto alle storie che incontrava lungo il cammino, si lasciò cesellare dalla volontà di Dio, prendendo sulle spalle tutte le conseguenze e le difficoltà del Vangelo fino a vedere le sue mani piagate per amore: “Guarda le mie mani”, disse a Tommaso ( Gv 20,27), e lo dice ad ognuno di noi: “Guarda le mie mani”. Mani piagate che vanno incontro e non cessano di offrirsi, affinché conosciamo l’amore che Dio ha per noi e crediamo in esso (cfr 1 Gv 4,16)».
L’invito programmatico «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», ha continuato l’attuale pontefice, richiede innanzitutto una dedizione grata di servizio al Signore e al suo popolo, che nasce dall’accogliere un dono totalmente gratuito, vivere secondo una synkatabasis (condiscendenza) totale di Dio e riconoscere la sua vicinanza capace di porsi nelle mani fragili dei suoi discepoli per nutrirli. Poi, serve una dedizione orante, che si plasma e si affina silenziosamente tra i crocevia e le contraddizioni che il pastore deve affrontare e l’invito fiducioso a pascere il gregge. Scriveva Benedetto XVI in proposito: «Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza». Infine, la dedizione va sostenuta dalla consolazione dello Spirito, che sempre lo precede nella ricerca appassionata di comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo, nella testimonianza feconda di coloro che rimangono in molti modi ai piedi della croce, nella speranza ostinata ma paziente che il Signore compirà la sua promessa. Il Papa ha infine pronunciato un devoto atto di affidamento a Dio del defunto papa emerito:
«Anche noi, saldamente legati alle ultime parole del Signore e alla testimonianza che marcò la sua vita, vogliamo, come comunità ecclesiale, seguire le sue orme e affidare il nostro fratello alle mani del Padre: che queste mani di misericordia trovino la sua lampada accesa con l’olio del Vangelo, che egli ha sparso e testimoniato durante la sua vita. […] È il Popolo fedele di Dio che, riunito, accompagna e affida la vita di chi è stato suo pastore. Come le donne del Vangelo al sepolcro, siamo qui con il profumo della gratitudine e l’unguento della speranza per dimostrargli, ancora una volta, l’amore che non si perde; vogliamo farlo con la stessa unzione, sapienza, delicatezza e dedizione che egli ha saputo elargire nel corso degli anni. Vogliamo dire insieme: “Padre, nelle tue mani consegniamo il suo spirito”».
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