Essere portatori di luce nel nostro tempo per mezzo dei voti di povertà, castità e obbedienza

Omelia di Papa Francesco nella Presentazione del Signore e nella Giornata Mondiale della Vita Consacrata.

«Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7), afferma l’autore della Lettera agli ebrei manifestando la piena adesione di Gesù al progetto del Padre. Nell’omelia dei primi vespri della festa della Presentazione del Signore celebrati sabato, nella Giornata Mondiale della Vita Consacrata e in un contesto liturgico caratterizzato dal simbolo della luce, Papa Francesco ha invitato consacrati e consacrate a riflettere su come, per mezzo dei voti di povertà, castità e obbedienza professati, anche loro possano essere portatori di luce nel nostro tempo. Innanzitutto, grazie alla luce della povertà «la persona consacrata, con un uso libero e generoso di tutte le cose, si fa per esse portatrice di benedizione: manifesta la loro bontà nell’ordine dell’amore, respinge tutto ciò che può offuscarne la bellezza – egoismo, cupidigia, dipendenza, l’uso violento e a scopi di morte – e abbraccia invece tutto ciò che la può esaltare: sobrietà, la generosità, la condivisione, la solidarietà».

Poi, nella rinuncia all’amore coniugale e nella via della continenza, con la luce della castità si ribadisce il primato assoluto dell’amore di Dio, accolto con cuore indiviso e sponsale. Il mondo di oggi, ha detto il pontefice, è spesso segnato da forme distorte di affettività, in cui il principio del piacere personale spinge a cercare nell’altro più la soddisfazione dei propri bisogni che la gioia di un incontro fecondo. In un contesto di questo tipo, la castità consacrata mostra un modo di amare libero e liberante, che accoglie e rispetta tutti e non costringe né respinge nessuno. «A tal fine, però, è importante, nelle nostre comunità, prendersi cura della crescita spirituale e affettiva delle persone, già dalla formazione iniziale, anche in quella permanente, perché la castità mostri davvero la bellezza dell’amore che si dona, e non prendano piede fenomeni deleteri come l’inacidimento del cuore o l’ambiguità delle scelte, fonte di tristezza, insoddisfazione e causa, a volte, in soggetti più fragili, dello svilupparsi di vere e proprie “doppie vite”».

Infine, c’è la luce dell’obbedienza alla Parola che si fa dono e risposta d’amore, segno per la nostra società in cui si tende a parlare tanto ma ascoltare poco. L’obbedienza consacrata, continua il Papa, dev’essere «un antidoto a tale individualismo solitario, promuovendo in alternativa un modello di relazione improntato all’ascolto fattivo, in cui al “dire” e al “sentire” segue la concretezza dell’“agire”, e questo anche a costo di rinunciare ai miei gusti, ai miei programmi e alle mie preferenze. Solo così, infatti, la persona può sperimentare fino in fondo la gioia del dono, sconfiggendo la solitudine e scoprendo il senso della propria esistenza nel grande progetto di Dio». Francesco ha concluso l’omelia affermando che il ritorno alle origini di cui si parla tanto nella vita consacrata non dev’essere come tornare a un museo, ma come tornare all’origine di questa vita, al “sì” al Padre e al senso, troppo dimenticato, dell’adorazione.

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