Dio ha messo suo Figlio tra le nostre braccia perché accogliere Gesù è l’essenziale

Omelia di Papa Francesco per la XXVI Giornata mondiale della vita consacrata.

«Due anziani, Simeone e Anna, attendono nel tempio il compimento della promessa che Dio ha fatto al suo popolo: la venuta del Messia. Ma la loro attesa non è passiva, è piena di movimento. Seguiamo dunque i movimenti di Simeone: egli dapprima è mosso dallo Spirito, poi vede nel Bambino la salvezza e finalmente lo accoglie tra le braccia (cfr Lc 2,26-28). Fermiamoci semplicemente su queste tre azioni e lasciamoci attraversare da alcune domande importanti per noi, in particolare per la vita consacrata.»

Inizia così l’omelia di Papa Francesco pronunciata durante la messa di ieri nella festa della Presentazione del Signore per la XXVI Giornata mondiale della vita consacrata. La prima domanda da rivolgersi è: da che cosa siamo mossi? Simeone si reca al tempio «mosso dallo Spirito» (v. 27), perché è lo Spirito Santo che ci rende capaci di scorgere la presenza di Dio e la sua opera non nelle grandi cose, nell’esteriorità appariscente o nelle esibizioni di forza, ma nella piccolezza e nella fragilità. Dobbiamo quindi chiederci se ci lasciamo principalmente muovere da Esso o dallo spirito del mondo, se rimaniamo fedeli alla fiamma della speranza come Simeone e Anna oppure legati a una stanca abitudine o a una passione momentanea.

La seconda domanda da porsi è: che cosa vedono i nostri occhi? Simeone riconosce Cristo e ne vede la salvezza. Ecco il miracolo della fede, che cambia la visuale e fa comprendere lo sguardo compassionevole con cui Dio ci guarda e ci dà occhi nuovi per osservare noi stessi e il mondo. Oltre le apparenze si possono scorgere i problemi, le fragilità, i fallimenti continuando a sorridere, perché si è aperti al futuro e alla speranza. Il pontefice invita dunque consacrati e consacrate a fare visita ai confratelli e alle consorelle anziani per sentire cosa pensano, come se quest’azione fosse una buona medicina.

Infine, la terza domanda è: che cosa stringiamo tra le braccia? Simeone lo fa con Gesù (v. 28), accogliendo così l’essenziale della fede nella propria vita senza perdersi in aspetti secondari. Prendendolo tra le braccia, egli pronuncia anche parole di stupore. Nonostante tanti anni di vita consacrata, si chiede Papa Francesco, non bisogna perdere la capacità di stupirsi, perché se viene a mancare vuol dire che non si stringe più Cristo e si cade nell’amarezza e nella delusione. Invece, accogliendolo di continuo, anche chiedendone la grazia, si può accogliere gli altri con gioia, fiducia e umiltà.

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