Omelia di Papa Francesco alla messa con la canonizzazione di Charles de Foucauld e altri beati e beate.
Omelia di Papa Francesco alla messa con la canonizzazione di Charles de Foucauld e altri beati e beate.
Ieri, quinta domenica di Pasqua, Papa Francesco ha presieduto la messa con la canonizzazione di dieci beati e beate: oltre al celebre Charles de Foucauld, Titus Brandsma, Lazzaro detto Devasahayam, César de Bus, Luigi Maria Palazzolo, Giustino Maria Russolillo, Maria Rivier, Maria Francesca di Gesù Rubatto, Maria di Gesù Santocanale e Maria Domenica Mantovani. Nell’omelia, si è soffermato sulle parole di Gesù che rivelano il criterio fondamentale per discernere se siamo davvero suoi discepoli oppure no, «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34), dedicando una riflessione all’amore di Cristo per noi e all’amore che lui ci chiede di vivere.
Gesù dice «Come io ho amato voi», ovvero fino al dono totale di sé, in un clima di tensione e preoccupazione, quando durante il cenacolo annuncia che darà l’addio ai suoi discepoli e che proprio uno di loro lo tradirà. È un momento doloroso per lui e gli apostoli, ma nonostante questo egli conferma l’amore per i suoi. Per questo, dice il Papa, deve essere sempre ricordato nella professione e nelle espressioni di fede l’annuncio «non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10). All’inizio dell’essere cristiani non ci sono le dottrine e le opere, ma lo stupore di scoprirsi amati, nonostante oggi la società voglia convincerci che abbiamo valore solo se produciamo dei risultati.
«Questa verità ci chiede una conversione sull’idea che spesso abbiamo di santità. A volte, insistendo troppo sul nostro sforzo di compiere opere buone, abbiamo generato un ideale di santità troppo fondato su di noi, sull’eroismo personale, sulla capacità di rinuncia, sul sacrificarsi per conquistare un premio. […] Così abbiamo fatto della santità una meta impervia, l’abbiamo separata dalla vita di tutti i giorni invece che cercarla e abbracciarla nella quotidianità, nella polvere della strada, nei travagli della vita concreta e, come diceva Teresa d’Avila alle consorelle, “tra le pentole della cucina”. Essere discepoli di Gesù e camminare sulla via della santità è anzitutto lasciarsi trasfigurare dalla potenza dell’amore di Dio».
Siccome l’amore che riceviamo dal Signore è la forza che trasforma la nostra vita, Gesù ci chiede «così amatevi anche voi gli uni gli altri». È perché siamo amati e abbiamo la forza di amare che possiamo fare scelte e compiere gesti di amore in ogni situazione e con ogni fratello e sorella che incontriamo. Nel concreto di ogni giorno, ciò significa servire e dare la vita, non anteponendo i propri interessi, disintossicandosi dai veleni dell’avidità e della competizione, combattendo il cancro dell’indifferenza e il tarlo dell’autoreferenzialità, condividendo i carismi e i doni che Dio ci ha donato, chiedendosi che cosa faccio per gli altri, donando sé stessi. Conclude Papa Francesco:
«Servire il Vangelo e i fratelli, offrire la propria vita senza tornaconto – questo è un segreto: offrire senza tornaconto –, senza ricercare alcuna gloria mondana: a questo siamo chiamati anche noi. I nostri compagni di viaggio, oggi canonizzati, hanno vissuto così la santità: abbracciando con entusiasmo la loro vocazione – di sacerdote, alcuni, di consacrata, altre, di laico – si sono spesi per il Vangelo, hanno scoperto una gioia che non ha paragoni e sono diventati riflessi luminosi del Signore nella storia. Questo è un santo o una santa: un riflesso luminoso del Signore nella storia. Proviamoci anche noi: non è chiusa la strada della santità, è universale, è una chiamata per tutti noi, incomincia con il Battesimo, non è chiusa. Proviamoci anche noi, perché ognuno di noi è chiamato alla santità, a una santità unica e irripetibile».
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