I popoli indigeni sono un grido vivente a favore della speranza

Le parole di Papa Francesco al Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo e al Forum dei Popoli Indigeni.

“La mia presenza desidera portare in questa Sede gli aneliti e i bisogni della moltitudine di nostri fratelli che soffrono nel mondo. Vorrei che potessimo guardare i loro volti senza arrossire, perché finalmente il loro grido è stato ascoltato e le loro preoccupazioni considerate. Essi vivono situazioni precarie: l’aria è viziata, le risorse naturali prosciugate, i fiumi inquinati, i suoli acidificati, non hanno acqua sufficiente né per loro né per le loro coltivazioni; le loro infrastrutture sanitarie sono molto carenti, le loro abitazioni misere e scadenti.”

Queste parole sono state pronunciate da Papa Francesco alla cerimonia di apertura della quarantaduesima sessione del consiglio dei governatori del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (agenzia delle Nazioni Unite), che si è tenuto ieri presso la sede della FAO a Roma. Egli ha continuato sottolineando che gli obiettivi dello sradicamento della povertà, della lotta contro la fame e della promozione della sovranità alimentare non saranno raggiungibili senza sviluppo rurale. Il paradosso è che buona parte degli oltre 820 milioni di persone che soffrono la fame e la malnutrizione nel mondo viva in zone rurali.

“Occorrerebbe dare protagonismo diretto a quanti sono colpiti dall’indigenza, senza considerarli meri recettori di un aiuto che può finire col generare dipendenze. E quando un popolo si abitua a dipendere, non si sviluppa. […] Bisogna puntare sull’innovazione, sulla capacità imprenditoriale, sul protagonismo degli attori locali e sull’efficienza dei processi produttivi, per ottenere la trasformazione rurale, al fine di sradicare la denutrizione e sviluppare in modo sostenibile l’ambito agricolo. E in questo contesto è necessario promuovere una «scienza con coscienza» e mettere la tecnologia realmente al servizio dei poveri. Del resto, le nuove tecnologie non devono contrapporsi alle culture locali e alle conoscenze tradizionali, ma integrarle e agire in sinergia con esse.”

Poi, Papa Francesco si è rivolto ai partecipanti alla quarta riunione del Forum dei Popoli Indigeni, parlando dell’estrema importanza delle questioni ambientali e delle ferite inferte al nostro pianeta dall’avidità umana, dai conflitti bellici e dalle catastrofi naturali, che non si può continuare a ignorare con indifferenza e mancanza di solidarietà.

“Dio ha creato la terra a beneficio di tutti, affinché fosse uno spazio accogliente in cui nessuno si sentisse escluso e tutti noi potessimo trovare una casa. Il nostro pianeta è ricco di risorse naturali. E i popoli originari, con la loro copiosa varietà di lingue, culture, tradizioni, conoscenze e metodi ancestrali, diventano per tutti un campanello d’allarme, che mette in evidenza il fatto che l’uomo non è il proprietario della natura, ma solo colui che la gestisce, colui che ha come vocazione vegliare su di essa con cura, affinché non si perda la sua biodiversità e l’acqua possa continuare a essere sana e cristallina, l’aria pura, i boschi frondosi e il suolo fertile. I popoli indigeni sono un grido vivente a favore della speranza. Ci ricordano che noi esseri umani abbiamo una responsabilità condivisa nella cura della casa comune. E se determinate decisioni prese finora l’hanno rovinata, non è mai troppo tardi per imparare la lezione e acquisire un nuovo stile di vita.”

La contrapposizione tra popoli cosiddetti civilizzati, ritenuti di prima classe, e quelli cosiddetti indigeni, di seconda classe”, è il grande errore di un progresso svincolato dalla terra. Occorre un meticciato culturale dove le due saggezze possano dialogare senza annullarsi: questa è la meta a cui tendere con la stessa dignità.

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