La speranza ci invita a dare spazio all’immaginazione di nuove possibilità

Le parole di Papa Francesco al 4° Forum di Parigi sulla pace e alla Fondazione Migrantes.

Ieri Papa Francesco ha inviato un messaggio ai partecipanti al quarto Forum di Parigi sulla pace, che si sta tenendo dall’11 al 13 novembre, nel quale ha individuato i temi su cui lavorare insieme per uscire davvero migliori di prima dopo la pandemia. Il cosiddetto ritorno alla normalità non può essere quello a un mondo in cui la ricchezza è nelle mani di una minoranza mentre centinaia di milioni di persone non sono in grado di soddisfare i bisogni più elementari, in cui la Terra viene saccheggiata, sfruttata, inquinata per un consumismo usa e getta, in cui la civiltà è ferita da guerre e conflitti. Tutto questo ostacolerebbe la via d’uscita per una comunità globale in cui nessuno si salva da solo. Per il pontefice, il problema più urgente, da risolvere perché altrimenti non vi potrebbe essere una cooperazione generatrice di pace, è il disarmo integrale, all’opposto della corsa agli armamenti che si sta verificando oggi e che ha superato il livello registrato alla fine della guerra fredda.

«Il mio auspicio è che la tradizione cristiana, in particolare la dottrina sociale della Chiesa, come pure altre tradizioni religiose, possano contribuire ad assicurare […] la speranza affidabile che l’ingiustizia e la violenza non sono inevitabili, non sono il nostro destino. Di fronte alle conseguenze della grande tempesta che ha sconvolto il mondo, la nostra coscienza ci chiama dunque a una speranza responsabile, cioè, in concreto, a non seguire la via comoda del ritorno a una normalità segnata dall’ingiustizia, ma ad accettare la sfida di assumere la crisi come «opportunità concreta di conversione, di trasformazione, di ripensare il nostro stile di vita e i nostri sistemi economici e sociali». […] Non sprechiamo questa opportunità di migliorare il nostro mondo.»

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Sempre ieri, il Papa ha rivolto un discorso ai partecipanti al convegno “Gli italiani in Europa e la missione cristiana” promosso dalla Fondazione Migrantes della CEI. Riflettendo sulla migrazione, egli ha sottolineato come i migranti non siano altri da noi, estranei, ma una parte rilevante del noi, prossimi alle nostre vite. A maggior ragione se si considera l’Europa come una casa comune, dove anche gli emigranti italiani stanno alimentando il sogno di uno spazio capace di trarre giovamento dalle diversità che lo abitano. Le comunità di emigrati italiani sono poi testimoni di fede, in quanto caratterizzate da uno stile di comunione e missione legato alla memoria familiare e rivolto al futuro.

«Gli emigranti sono una benedizione anche per e nelle nostre Chiese in Europa. Se integrati, possono aiutare a far respirare l’aria di una diversità che rigenera l’unità; possono alimentare il volto della cattolicità; possono testimoniare l’apostolicità della Chiesa; possono generare storie di santità. […] Nello stesso tempo, le migrazioni hanno accompagnato e possono sostenere, con l’incontro, la relazione e l’amicizia, il cammino ecumenico nei diversi Paesi europei dove i fedeli appartengono in maggioranza a comunità riformate o ortodosse.»

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