Le piaghe del Risorto sono il sigillo perenne del suo amore per noi

Le parole di Papa Francesco alla Veglia nella notte santa e a Pasqua.

«Le donne pensavano di trovare la salma da ungere, invece hanno trovato una tomba vuota. Erano andate a piangere un morto, invece hanno ascoltato un annuncio di vita. Per questo, dice il Vangelo, quelle donne «erano piene di spavento e di stupore» (Mc 16,8) […]. È la meraviglia di ascoltare quelle parole: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto» (v. 6). E poi quell’invito: «Egli vi precede in Galilea, là lo vedrete» (v. 7). Accogliamo anche noi questo invito, l’invito di Pasqua: andiamo in Galilea dove il Signore Risorto ci precede.»

Papa Francesco inizia così la sua omelia alla messa della Veglia pasquale nella notte santa, per poi spiegare cosa significa “andare in Galilea”. Innanzitutto, vuol dire ricominciare, tornare al primo incontro con Gesù. Ai discepoli, che dopo averlo seguito lo hanno lasciato solo davanti alla croce, Cristo continua a dire di ripartire da dove avevano iniziato, perché c’è sempre una vita nuova che Dio è capace di far ripartire in noi al di là di tutti i nostri fallimenti. Il secondo significato è percorrere vie nuove. Le donne che cercano Gesù alla tomba vanno a commemorare ciò che hanno vissuto con Lui e che ora è perduto per sempre. Ma la fede non vive di ricordi e di abitudini del passato, va ravvivata ogni giorno con umiltà e stupore, perché Cristo è qui e ora.

Infine, andare in Galilea significa raggiungere i confini, perché quella regione è distante e lontano dalla purezza rituale di Gerusalemme. Ma è lì che Gesù ha iniziato la sua missione, tra i poveri, gli esclusi, i fragili. Il luogo è quello della quotidianità, della vita condivisa con il prossimo, delle piccolezze. Il Risorto ci ama senza confini e visita ogni nostra situazione della nostra esistenza. Se anche noi ci troviamo in una notte buia e la luce non è ancora sorta, apriamo il cuore con stupore all’annuncio della Pasqua.

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La Domenica della Pasqua di Risurrezione del Signore, dopo la celebrazione della messa del giorno in cui non ha tenuto l’omelia, il pontefice ha impartito la benedizione Urbi et Orbi. Nel messaggio, ha detto che l’annuncio pasquale non è una formula magica o una via di fuga dalle difficoltà della realtà, ma un avvenimento che dona la speranza che non delude. Dio ha infatti compiuto fino in fondo la volontà di salvezza resuscitando suo Figlio, che ha mantenuto impresse nel suo corpo le piaghe delle mani, dei piedi e del costato: sono il sigillo perenne del suo amore per noi. Il Risorto è speranza per i sofferenti, i malati, i fragili, i poveri, i migranti, i giovani.

«Tra le molteplici difficoltà che stiamo attraversando, non dimentichiamo mai che noi siamo sanati dalle piaghe di Cristo (cfr 1 Pt 2,24). Alla luce del Risorto le nostre sofferenze sono trasfigurate. Dove c’era morte ora c’è vita, dove c’era lutto, ora c’è consolazione. Nell’abbracciare la Croce Gesù ha dato senso alle nostre sofferenze e ora preghiamo che gli effetti benefici di questa guarigione si espandano in tutto il mondo.»

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