Il miglior modo per disinnescare l’odio è promuovere la fraternità

Le parole di Papa Francesco nella prima giornata del viaggio apostolico a Budapest e in Slovacchia.

Ieri Papa Francesco ha iniziato il suo viaggio apostolico a Budapest, in occasione della conclusione del cinquantaduesimo congresso eucaristico internazionale, e in Slovacchia. Dopo essere arrivato nella capitale ungherese, ha incontrato presso il Museo delle belle arti prima il presidente della Repubblica e il primo ministro, poi i vescovi e infine i rappresentanti del consiglio ecumenico delle Chiese e alcune comunità ebraiche dell’Ungheria. Agli episcopi ha dato alcune indicazioni per portare avanti la missione della Chiesa, che deve sempre tenere insieme la custodia del passato e lo sguardo al futuro:

«La prima: essere annunciatori del Vangelo. Non dimentichiamo che al centro della vita della Chiesa c’è l’incontro con Cristo. […] Le strutture, le istituzioni, la presenza della Chiesa nella società servono solo a risvegliare nelle persone la sete di Dio e a portare loro l’acqua viva del Vangelo. […] Una seconda indicazione: essere testimoni di fraternità. […] Davanti alle diversità culturali, etniche, politiche e religiose, possiamo avere due atteggiamenti: chiuderci in una rigida difesa della nostra cosiddetta identità oppure aprirci all’incontro con l’altro e coltivare insieme il sogno di una società fraterna. […] Infine, la terza cosa, essere costruttori di speranza. Se mettiamo il Vangelo al centro e lo testimoniamo nell’amore fraterno, possiamo guardare al futuro con speranza, anche se oggi attraversiamo piccole o grandi tempeste.»

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Nell’incontro ecumenico e interreligioso, il pontefice si è soffermato sull’immagine evocativa del ponte delle Catene, che collega le due parti di Budapest e non le fonde insieme, ma le tiene unite. Così devono essere i legami tra le persone: non serve assorbire l’altro, ma integrarlo in un’ottica di fraternità che ripudia l’odio e l’ancora purtroppo attuale antisemitismo. Il ponte richiama quindi il concetto, fondamentale nella Scrittura, di alleanza. Il Signore, infatti, ci chiede di non cedere alle logiche dell’isolamento e degli interessi di parte, ma di creare comunità. Per questo, dalle labbra degli uomini di Dio non possono uscire parole divisive, ma solo messaggi di apertura e di pace.

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Sempre in mattinata, il Papa ha celebrato la messa in piazza degli Eroi e nell’omelia ha riflettuto sulla domanda di Gesù ai discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,29). Essi conoscevano già bene Lui e il suo insegnamento, però non era ancora passati dall’ammirarlo all’imitarlo. L’interrogativo è quindi utile anche per ciascuno di noi e non richiede una risposta esatta da catechismo, ma una personale. Solo così può nascere il rinnovamento del discepolato, che passa attraverso l’annuncio di Gesù, il discernimento con Gesù, il cammino dietro a Gesù. Solo così si può comprendere come il messia sia un servo crocifisso, come la croce del sacrificio guarisca dentro, come servire sia superiore all’essere servito.

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Nel pomeriggio, Papa Francesco si è trasferito a Bratislava dove, prima di incontrare privatamente i membri della Compagnia di Gesù, ha partecipato a un incontro ecumenico presso la nunziatura apostolica. Ai presenti ha chiesto di non accontentarsi e adagiarsi per un desiderio di normalizzazione e quieto vivere, perché non è questo il modo in cui la verità del Vangelo ci rende liberi. Per non smarrire l’ardore dell’annuncio e la profezia della testimonianza, il pontefice consiglia la contemplazione, al fine di ritrovare la bellezza dell’adorazione di Dio e la concezione della comunità di fede non basata sull’efficienza funzionale, e l’azione, perché l’unità si ottiene non con l’adesione a qualche valore comune ma facendo qualcosa insieme per chi ne ha più bisogno.

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