Siamo figli di una storia da custodire e artigiani di una storia da costruire

Le parole di Papa Francesco nel terzo giorno del viaggio apostolico in Canada.

Nel terzo giorno del viaggio apostolico in Canada, Papa Francesco ha celebrato la messa presso il Commonwealth stadium a Edmonton, nella festa dei santi Gioacchino e Anna, i nonni di Gesù. Nell’omelia si è soffermato a riflettere su due aspetti importanti. Il primo riguarda l’essere figli di una storia da custodire, perché noi non siamo individui isolati che viviamo slegati dagli altri. Le nostre radici e gli ambienti familiari in cui siamo cresciuti fanno parte di una storia unica, che ci ha preceduti e generati. Non l’abbiamo scelta noi, ma ricevuta in dono ed è per questo che siamo chiamati a custodirla.

Il secondo aspetto ci vede come artigiani di una storia da costruire. Siamo infatti tutti figli generati e plasmati da qualcuno, ma diventando adulti siamo anche chiamati a essere generativi, quindi padri e madri di qualcun altro. Qui si pone, dunque, un interrogativo fondamentale: che società vogliamo costruire? Abbiamo ricevuto tanto dalle mani di chi ci ha preceduto e dobbiamo scegliere cosa lasciare in eredità ai nostri posteri: una civiltà basata sul profitto dei singoli o sulla fraternità, un creato devastato o ancora accogliente, un mondo in pace o in guerra, una fede viva o all’acqua di rose. La logica del “si è sempre fatto così” è una tentazione pericolosa. Il fuoco della passione acceso nel passato va sempre ravvivato.

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Nel pomeriggio, il Papa ha partecipato al Lac Ste. Anne pilgrimage, dove ha presieduto la liturgia della parola. Pensando alle acque del lago qui presente, nell’omelia si è soffermato sulle fonti della fede, pensando a Gesù che svolse gran parte del suo ministero proprio sulle rive di un lago, quello di Galilea. Quel luogo era una zona di commerci dove confluivano svariate genti, distante dalla purezza religiosa che si concentrava al tempio di Gerusalemme. Sulle sue rive si incontravano uomini e donne delle più variegate provenienze ed estrazioni sociali e proprio lì Gesù predicò l’inaudito annuncio di fraternità e la rivoluzione dell’amore. Per il popolo di Dio queste acque sacre, ha continuato il pontefice citando Ezechiele (cfr Ez 47,8-9), danno la vita e risanano.

«Fratelli, sorelle, tutti noi abbiamo bisogno della guarigione di Gesù, medico delle anime e dei corpi. Signore, come la gente sulle sponde del mare di Galilea non aveva paura di gridarti i suoi bisogni, così noi stasera, Signore, veniamo a te, con il dolore che abbiamo dentro. Ti portiamo le nostre aridità e le nostre fatiche, ti portiamo i traumi delle violenze subite dai nostri fratelli e sorelle indigeni. In questo luogo benedetto, dove regnano l’armonia e la pace, ti presentiamo le disarmonie delle nostre storie, i terribili effetti della colonizzazione, il dolore incancellabile di tante famiglie, nonni e bambini. Signore, aiutaci a guarire le nostre ferite».

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