Chiusure e pregiudizi ricostruiscono tra noi quel muro che Cristo ha abbattuto

Le parole di Papa Francesco nel secondo giorno del viaggio apostolico a Cipro.

Nella mattina di ieri, secondo giorno del viaggio apostolico a Cipro, Papa Francesco ha prima effettuato una visita di cortesia all’arcivescovo ortodosso dell’isola Chrysostomos II presso l’arcivescovado ortodosso di Nicosia, poi incontrato il Santo Sinodo presso la cattedrale ortodossa della città. Qui il suo discorso si è incentrato ancora su «Giuseppe, soprannominato dagli Apostoli Barnaba» (At 4,36), parola che significa al tempo stesso “figlio della consolazione” e “figlio dell’esortazione”. Entrambe le caratteristiche sono indispensabili per l’annuncio del Vangelo: ogni vera consolazione non può rimanere intimistica, ma deve tradursi in esortazione e orientare la libertà al bene; al contempo, ogni esortazione nella fede non può che fondarsi sulla presenza consolante di Dio ed essere accompagnata dalla carità fraterna.

Barnaba, presentato come «un levita originario di Cipro» (At 4,36), vendette il suo campo e depose il ricavato ai piedi degli apostoli. Come lui, anche noi dobbiamo avere il coraggio di spogliarci di ciò che, pur prezioso, è terreno e rischia di assolutizzare certi usi e abitudini non essenziali per vivere la fede. Non dobbiamo inoltre permettere che le tradizioni, al plurale e con la “t” minuscola, tendano a prevalere sulla Tradizione, al singolare e con la “T” maiuscola, altrimenti comprometteremmo la pienezza della comunione, il primato della carità e la necessità dell’unità.

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Dopo questi incontri, il pontefice ha celebrato la messa al GSP Stadium e nell’omelia si è soffermato su tre passaggi dell’incontro tra Gesù e due ciechi, che lo riconoscono come Messia. Innanzitutto, essi vanno verso Gesù per guarire, ascoltando la sua voce e seguendo i suoi passi anche senza vederlo. Lo fanno perché percepiscono che, nel buio della storia, Egli è la luce che illumina le notti del cuore e del mondo e vince ogni cecità. Poi, essi portano insieme le ferite e condividono la propria condizione, usando il “noi”, non “io”, quando si rivolgono a Cristo. Chiedono aiuto assieme uscendo dall’individualismo e dalla pretesa di autosufficienza che fanno ammalare il cuore. Infine, dopo la guarigione i due ciechi, protagonisti anonimi in cui possiamo rispecchiarci, annunciano il Vangelo con gioia.

«Non si tratta di proselitismo – per favore, non fare mai proselitismo! – ma di testimonianza; non di moralismo che giudica – no, non farlo – ma di misericordia che abbraccia; non di culto esteriore, ma di amore vissuto. […] come i due ciechi del Vangelo, rinnoviamo anche noi l’incontro con Gesù e usciamo da noi stessi senza paura per testimoniarlo a quanti incontriamo! Usciamo a portare la luce che abbiamo ricevuto, usciamo a illuminare la notte che spesso ci circonda! Fratelli e sorelle, c’è bisogno di cristiani illuminati ma soprattutto luminosi, che tocchino con tenerezza le cecità dei fratelli; che con gesti e parole di consolazione accendano luci di speranza nel buio. Cristiani che seminino germogli di Vangelo nei campi aridi della quotidianità, che portino carezze nelle solitudini della sofferenza e della povertà.»

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Nel pomeriggio, il Papa si è fermato nella chiesa parrocchiale di Santa Croce per la preghiera ecumenica con i migranti, dove ha ascoltato le testimonianze di Mariamie dalla Repubblica Democratica del Congo, Thamara dallo Sri Lanka, Maccolins dal Camerun, Rozh dall’Iraq, che hanno toccato i temi del sogno, dell’identità, dell’odio, del viaggio. Guardando il muro che divide l’isola in due entità politiche, ha esortato Cipro a essere un laboratorio di fraternità dove riconoscere la dignità di ognuno, senza dimenticare tutte le sorelle e tutti i fratelli che soffrono o muoiono nelle rotte migratorie, senza mai abituarsi alle notizie negative.

«Dobbiamo andare contro questo vizio dell’abituarsi a leggere queste tragedie nei giornali o sentirli in altri media. Guardando voi, penso a tanti che sono dovuti tornare indietro perché li hanno respinti e sono finiti nei lager, veri lager, dove le donne sono vendute, gli uomini torturati, schiavizzati… Noi ci lamentiamo quando leggiamo le storie dei lager del secolo scorso, quelli dei nazisti, quelli di Stalin, ci lamentiamo quando vediamo questo e diciamo: “ma come mai è successo questo?”. Fratelli e sorelle: sta succedendo oggi, nelle coste vicine!»

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