Se Dio ha dato origine alla vita, come possono i credenti acconsentire che venga distrutta?

Le parole di Papa Francesco nel primo e secondo giorno del viaggio apostolico in Kazakhstan.

Il viaggio apostolico in Kazakhstan di Papa Francesco è iniziato martedì, quando, dopo essere arrivato nel tardo pomeriggio nella capitale Nur-Sultan, ha effettuato una visita di cortesia al presidente della Repubblica e un incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. Nel discorso a loro rivolto, ha detto di essere venuto come pellegrino di pace in cerca di dialogo e unità, perché il mondo ne ha urgente bisogno. I vari pensieri esposti hanno ruotato simbolicamente attorno alla dombra, strumento musicale tradizionale che ritma la memoria del Paese e collega il passato al presente: di fronte ai rapidi cambiamenti economici e sociali in corso, non si devono trascurare i legami con la vita di chi ci ha preceduto.

Essa ha due corde che suonate insieme creano armonia, come in Kazakhstan avviene tra tradizione e progresso, tra anima asiatica e anima europea: l’armonia della vita sociale matura e cresce nell’insieme. Importante è che questo si sviluppi in un Paese libero, anche da un punto di vista religioso. La dombra, poi, è uno strumento musicale popolare e, parallelamente, il governo deve essere al servizio del popolo, seguendo una politica realmente democratica che argini il più possibile estremismi, personalismi e populismi. Essa è, infine, simile a strumenti presenti in altri stati circostanti, simbolo di una comunione culturale che va messa in primo piano rispetto alle conflittualità. Soprattutto oggi in cui il mondo è tutto connesso, è sempre più pressante la necessità di allargare l’impegno diplomatico a favore del dialogo e dell’incontro.

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Mercoledì mattina, il Papa ha partecipato all’apertura e alla sessione plenaria del settimo Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali e, successivamente, ha incontrato privatamente alcuni capi religiosi. Nel discorso ai presenti all’assemblea, appellati come fratelli e sorelle in quanto figli e figlie dello stesso Cielo, ha voluto sottolineare l’importanza fondamentale della libertà religiosa per uno sviluppo davvero umano e integrale. Citando il poeta locale Abai (1845-1904), che scrisse: «Mentre crediamo e adoriamo non dobbiamo dire che possiamo costringere gli altri a credere e adorare», egli ha detto che è venuta l’ora di destarsi da quel fondamentalismo che inquina e corrode ogni credo, l’ora di rendere limpido e compassionevole il cuore.

«La libertà religiosa è un diritto fondamentale, primario e inalienabile, che occorre promuovere ovunque e che non può limitarsi alla sola libertà di culto. È infatti diritto di ogni persona rendere pubblica testimonianza al proprio credo: proporlo senza mai imporlo. È la buona pratica dell’annuncio, differente dal proselitismo e dall’indottrinamento, da cui tutti sono chiamati a tenersi distanti. Relegare alla sfera del privato il credo più importante della vita priverebbe la società di una ricchezza immensa; favorire, al contrario, contesti dove si respira una rispettosa convivenza delle diversità religiose, etniche e culturali è il modo migliore per valorizzare i tratti specifici di ciascuno, di unire gli esseri umani senza uniformarli, di promuoverne le aspirazioni più alte senza tarparne lo slancio».

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Nel pomeriggio, in una grande piazza Papa Francesco ha presieduto la messa nel giorno dell’esaltazione della Croce di Cristo. Nell’omelia si è soffermato sulla contrapposizione biblica tra i serpenti che mordono e il serpente che salva. I primi attaccano il popolo, caduto per l’ennesima volta nel peccato della mormorazione contro Dio e nella mancanza di fiducia nella Sua promessa. Camminando nel deserto, gli israeliti si scoraggiano e, esauritasi la speranza, vengono morsi da serpenti che uccidono, riproposizione del peccato delle origini e del male. Questo può avvenire anche nelle situazioni di vita personale, ecclesiale e sociale quando c’è sfiducia, pessimismo e rassegnazione. Ma, mentre il popolo muore, Dio ascolta la preghiera di intercessione di Mosè e gli dice di fare un serpente e metterlo sopra un’asta, così chiunque sarebbe stato morso e lo avesse guardato sarebbe rimasto in vita (Nm 21,8). Perché il Signore non ha semplicemente distrutto i serpenti velenosi? Perché fa arrivare tra noi il serpente che salva, ovvero il Figlio dell’uomo, come spiegherà Gesù stesso. Se teniamo lo sguardo rivolto a Cristo, che sulla croce ha sconfitto il veleno del peccato e della morte, Dio ci dona la possibilità di sollevare lo sguardo e non farci più dominare dal male. Il papa ha concluso l’omelia dicendo:

«Fratelli e sorelle, questa è la strada, la strada della nostra salvezza, della nostra rinascita e risurrezione: guardare a Gesù crocifisso. Da quell’altezza possiamo vedere la nostra vita e la storia dei nostri popoli in modo nuovo. Perché dalla Croce di Cristo impariamo l’amore, non l’odio; impariamo la compassione, non l’indifferenza; impariamo il perdono, non la vendetta. Le braccia allargate di Gesù sono l’abbraccio di tenerezza con cui Dio vuole accoglierci. E ci mostrano la fraternità che siamo chiamati a vivere tra di noi e con tutti. Ci indicano la via, la via cristiana: non quella dell’imposizione e della costrizione, della potenza e della rilevanza, mai quella che impugna la croce di Cristo contro altri fratelli e sorelle per i quali Egli ha dato la vita! È un’altra la via di Gesù, la via della salvezza: è la via dell’amore umile, gratuito e universale, senza “se” e senza “ma”».

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