Le parole di Papa Francesco in occasione del viaggio apostolico in Madagascar.
Le parole di Papa Francesco in occasione del viaggio apostolico in Madagascar.
Dopo la visita apostolica in Mozambico, Papa Francesco ha proseguito il suo viaggio in Madagascar, dove è arrivato venerdì pomeriggio. Ad Antananarivo, la mattina del giorno successivo ha incontrato le autorità e rappresentanti della società civile, ai quali ha ricordato l’importanza per lo sviluppo della giovane democrazia malgascia del fihavanana, valore fondamentale inserito nella Costituzione che evoca lo spirito di condivisione, aiuto reciproco e solidarietà.
Successivamente, il Papa si è recato al Monastero delle Carmelitane Scalze, dove ha celebrato l’Ora media. Ha proposto alle suore una meditazione a braccio, consegnando l’omelia che aveva preparato, e raccontando una storia vera che dimostra che serve sempre coraggio per seguire il Signore.
“Una tarda serata, due suore, una giovanissima e una vecchia, camminavano dal coro, dove avevano pregato i Vespri, al refettorio. La vecchietta faceva fatica a camminare, era quasi paralitica, e la giovane cercava di aiutarla, ma la vecchietta si innervosiva, diceva: «Non toccarmi! Non fare questo che cado!». E, Dio sa, ma sembra che la malattia avesse reso la vecchietta un po’ nevrotica. Ma la giovane sempre col sorriso la accompagnava. Alla fine arrivavano al refettorio, la giovane cercava di aiutarla a sedersi, e la vecchietta: «No, no, mi fa male, fa male qui…», ma alla fine si sedeva. Una giovane, di fronte a questo, sicuramente avrebbe avuto voglia di mandarla a passeggio! Ma quella giovane sorrideva, prendeva il pane, lo preparava e glielo dava. […] Questa è una storia vera, che riflette un pezzetto della vita comunitaria, che fa vedere lo spirito con cui si può vivere una vita comunitaria. La carità nelle piccole e nelle grandi cose.”
Nell’omelia, Papa Francesco si sofferma sul Salmo 119, dove si esprime il desiderio inesauribile dell’incontro con Dio, di cui le suore di clausura sono la testimonianza vivente. Siccome per molti la vita è un mare in tempesta, dove si è sempre tentati di soddisfare il desiderio di eternità con cose effimere, consiglia di essere un faro, soprattutto per i poveri, e di ascoltare il cuore del Signore per ascoltarlo anche nei fratelli e nelle sorelle.
Leggi qui i testi completi della meditazione e dell’omelia
Nel pomeriggio, il Papa ha incontrato i vescovi del Madagascar nella cattedrale di Andohalo, ribadendo il coraggio che serve per seminare pace e speranza. Non serve scoraggiarsi e arrendersi, ma bisogna aspettare ed essere fiduciosi senza smettere mai di amare ciò che è affidato alla propria cura.
“Abbiamo un dovere particolare di vicinanza e di protezione verso i poveri, gli emarginati e i piccoli, verso i bambini e le persone più vulnerabili, vittime di sfruttamento e di abusi, vittime, oggi, di questa cultura dello scarto. […] Questo immenso campo non è solo sgomberato e dissodato dallo spirito profetico, ma attende anche la semente gettata nel terreno con pazienza cristiana, consapevole inoltre che non abbiamo né il controllo né la responsabilità dell’intero processo. […] Il seminatore non va ogni giorno a scavare la terra per vedere come cresce il seme. Un pastore evita di controllare tutto – i pastori controllori non lasciano crescere! –, dà spazio alle iniziative, lascia crescere in tempi diversi – non tutti hanno lo stesso tempo di crescita – e non cerca l’uniformità: l’uniformità non è vita; la vita è variegata, ognuno ha il proprio modo di essere, il proprio modo di crescere, il proprio modo di essere persona. L’uniformità non è una strada cristiana.”
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Dopo aver visitato la tomba della beata Victoire Rasoamanarivo, Papa Francesco ha partecipato alla veglia con i giovani presso il campo diocesano di Soamandrakizay, sempre ad Antananarivo. Ha ricordato loro che per seguire Gesù, che ci mette in cammino, non si deve rimanere immobili a lamentarsi e guardare solo a sé stessi, ma agire e impegnarsi.
“Sappiamo tutti, anche per esperienza personale, che ci si può smarrire e correre dietro a illusioni che ci fanno promesse e ci incantano con una gioia appariscente, una gioia rapida, facile e immediata, ma che alla fine lasciano il cuore, lo sguardo e l’anima a metà strada. […] Quelle illusioni che, quando siamo giovani, ci seducono con promesse che ci anestetizzano, ci tolgono la vitalità, la gioia, ci rendono dipendenti e ci chiudono in un circolo apparentemente senza uscita e pieno di amarezza. […] Il Signore ci chiama per nome e ci dice: “Seguimi!”. Non per farci correre dietro a delle illusioni, ma per trasformare ognuno di noi in discepoli-missionari qui e ora. È il primo a confutare tutte le voci che cercano di addormentarvi, di addomesticarvi, di anestetizzarvi o farvi tacere perché non cerchiate nuovi orizzonti. Con Gesù, ci sono sempre nuovi orizzonti. Vuole trasformarci tutti e fare della nostra vita una missione. Ma ci chiede una cosa: ci chiede di non aver paura di sporcarci le mani.”
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Domenica mattina Papa Francesco ha celebrato la messa, sempre nel campo diocesano di Soamandrakizay. Ai presenti ha detto che camminare al seguito di Gesù non è molto riposante e questo impegno ha delle esigenze, che servono per liberarsi da una delle peggiori schiavitù: il vivere per sé stessi.
“La prima esigenza ci invita a guardare alle nostre relazioni familiari. La vita nuova che il Signore ci propone sembra scomoda e si trasforma in scandalosa ingiustizia per coloro che credono che l’accesso al Regno dei Cieli possa limitarsi o ridursi solamente ai legami di sangue, all’appartenenza a un determinato gruppo, a un clan o una cultura particolare. […] Chiunque non è in grado di vedere l’altro come un fratello, di commuoversi per la sua vita e la sua situazione, al di là della sua provenienza familiare, culturale, sociale, «non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). […] La seconda esigenza ci mostra come risulti difficile seguire il Signore quando si vuole identificare il Regno dei Cieli con i propri interessi personali o con il fascino di qualche ideologia che finisce per strumentalizzare il nome di Dio o la religione per giustificare atti di violenza, di segregazione e persino di omicidio, esilio, terrorismo ed emarginazione. […] E infine: come può essere difficile condividere la nuova vita che il Signore ci dona quando siamo continuamente spinti a giustificare noi stessi, credendo che tutto provenga esclusivamente dalle nostre forze e da ciò che possediamo. […] L’esigenza del Maestro è un invito a recuperare la memoria grata e a riconoscere che, piuttosto che una vittoria personale, la nostra vita e le nostre capacità sono il risultato di un dono.”
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Nel pomeriggio, il Papa ha prima visitato la città dell’amicizia di Akamasoa, villaggio nato da una missione umanitaria per favorire il reinserimento economico e sociale dei più poveri, poi il cantiere di Mahatzana, dove ha recitato una preghiera per i lavoratori.
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Il viaggio apostolico in Madagascar si è concluso con l’incontro con sacerdoti, religiosi, religiose, consacrati e seminaristi, tenutosi nel Collegio Saint Michel. Il Papa richiama il momento in cui Gesù, accogliendo e ascoltando i suoi settantadue discepoli che tornano pieni di gioia, loda e benedice il Padre suo.
“Siamo uomini e donne di lode. La persona consacrata è in grado di riconoscere e indicare la presenza di Dio dovunque si trovi. Inoltre, vuole vivere alla sua presenza, che ha imparato ad assaporare, gustare e condividere. Nella lode troviamo la nostra più bella appartenenza e identità, perché essa libera il discepolo dall’ansia per il «si dovrebbe fare…» – quell’ansia che è un tarlo, un tarlo che rovina – e gli restituisce il gusto per la missione e per stare con la sua gente; lo aiuta ad aggiustare i criteri con cui misura sé stesso, gli altri e tutta l’attività missionaria, perché non abbiano alle volte poco sapore di Vangelo. […] Nella lode impariamo la sensibilità per non perdere la bussola e non fare dei mezzi i nostri fini, e del superfluo ciò che è importante; impariamo la libertà di mettere in atto dei processi piuttosto che voler occupare spazi; la gratuità di promuovere tutto ciò che fa crescere, maturare e fruttificare il Popolo di Dio piuttosto che inorgoglirci di un certo reddito pastorale facile, veloce ma effimero.”
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