Le parole di Papa Francesco in occasione del viaggio apostolico in Mozambico.
Le parole di Papa Francesco in occasione del viaggio apostolico in Mozambico.
Mercoledì, Papa Francesco è arrivato in Mozambico per il viaggio apostolico che lo porterà, nei prossimi giorni, anche in Madagascar e in Maurizio. Il primo incontro l’ha avuto ieri alla nunziatura apostolica a Maputo, la capitale dello Stato, con le Scholas occurrentes. Qui, sollecitato dalla vista di alcuni ragazzini che giocavano a calcio sulla spiaggia, ha ricordato un aspetto della sua infanzia.
“C’è una cosa che mi ha toccato molto il cuore ed è il pallone di stracci. Quando ero bambino io giocavo con un pallone di stracci. Perché a quel tempo i palloni erano di cuoio, cuciti con il cuoio ed erano molto costosi. E noi, che andavamo a scuola tutti insieme, non avevamo i soldi per comprare quei palloni “numero 5” che erano così grossi. […] Così, nel cortile di casa mia dove giocavamo, dove c’è ancora una piazzetta, giocavamo con un pallone di stracci […]. Voi in questo modo raccogliete tutta una storia di artigianato sportivo: lavoro per fare questo, e gioia per il gioco. Lavoro e gioco. Nella vita se non c’è lavoro, la vita non va bene, e se non sai giocare, la vita non va bene. Lavoro e gioco, insieme.”
Dopo aver incontrato le autorità e i rappresentanti della società civile presso il palazzo presidenziale, dove ha espresso l’apprezzamento per il mantenimento della pace e i continui sforzi per la riconciliazione, il Papa si è recato allo Stadio Maxaquene per l’incontro interreligioso con i giovani.
“La gioia di vivere è una delle vostre principali caratteristiche, la caratteristica dei giovani, la gioia di vivere, come si può sentire qui! Gioia condivisa e celebrata, che riconcilia, e diventa il miglior antidoto per smentire tutti quelli che vi vogliono dividere – attenzione che vi vogliono dividere! –, che vi vogliono frammentare, che vi vogliono contrapporre. […] Non lasciate che vi rubino la gioia! […] Ci sono molti modi di guardare l’orizzonte, il mondo, di guardare il presente e il futuro, ci sono molti modi. Ma bisogna stare attenti a due atteggiamenti che uccidono i sogni e la speranza. Quali sono? La rassegnazione e l’ansia. Due atteggiamenti che uccidono i sogni e la speranza. Sono grandi nemiche della vita, perché di solito ci spingono su un percorso facile ma di sconfitta; e il pedaggio che chiedono per passare è molto caro! […] I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno rinunciando alla fretta. Nello stesso tempo, non bisogna bloccarsi per insicurezza, non bisogna avere paura di rischiare e di commettere errori.”
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Nel pomeriggio, Papa Francesco si è recato alla Cattedrale dell’Immacolata Concezione dove lo aspettavano i vescovi, i sacerdoti, religiosi e religiose, consacrati, seminaristi, catechisti e animatori, i quali hanno espresso la preoccupazione verso le nuove sfide che stanno vivendo.
“Ci piaccia o no, siamo chiamati ad affrontare la realtà così com’è. I tempi cambiano e dobbiamo riconoscere che spesso non sappiamo come inserirci nei nuovi tempi, nei nuovi scenari; possiamo sognare le cipolle d’Egitto (cfr Nm 11,5), dimenticando che la Terra Promessa si trova davanti, non dietro, e in questa nostalgia dei tempi passati ci andiamo pietrificando, ci andiamo mummificando. Non è una cosa buona. […] Di fronte alla crisi dell’identità sacerdotale, forse dobbiamo uscire dai luoghi importanti e solenni; dobbiamo tornare ai luoghi in cui siamo stati chiamati, dove era evidente che l’iniziativa e il potere erano di Dio. […] A volte senza volerlo, senza colpa morale, ci abituiamo a identificare la nostra attività quotidiana di sacerdoti, religiosi, consacrati, laici, catechisti, con determinati riti, con riunioni e colloqui, dove il posto che occupiamo nella riunione, alla mensa o in aula è gerarchico; somigliamo più a Zaccaria che a Maria. […] I dubbi e il bisogno di spiegazioni di Zaccaria stonano con il sì di Maria, che chiede solo di sapere come avverrà tutto ciò che sta per accaderle. Zaccaria non può evitare la preoccupazione di controllare tutto, non può rinunciare alla logica di essere e sentirsi responsabile e autore di ciò che accadrà. Maria non dubita, non pensa a sé stessa: si abbandona, si fida.”
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Questa mattina, dopo essersi recato in visita all’ospedale di Zimpeto (sempre a Maputo), Papa Francesco ha celebrato nello stadio di Zimpeto una messa per il progresso dei popoli. Partendo dalle parole di Gesù «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici» (Lc 6,27), ha ricordato che esse sono rivolte anche a noi oggi. Gesù non è un idealista che ignora la realtà: parla con fermezza di come comportarsi nei confronti di chi ha appena descritto nella Beatitudine precedente (6,22): colui che ci odia, ci mette al bando, ci insulta, ci disprezza.
“Gesù invita ad amare e a fare il bene. E questo è molto di più che ignorare la persona che ci ha danneggiato o fare in modo che le nostre vite non si incrocino: è un mandato che mira a una benevolenza attiva, disinteressata e straordinaria verso coloro che ci hanno ferito. Gesù, però, non si ferma qui; ci chiede anche di benedirli e di pregare per loro, che cioè il nostro parlare di loro sia un dire-bene, generatore di vita e non di morte, che pronunciamo i loro nomi non per insulto o vendetta, ma per inaugurare un nuovo rapporto che conduca alla pace. Alta è la misura che il Maestro ci propone!”
Seguire Gesù in questo vuol dire non agire secondo una pratica oggi molto comune: essere cristiani e vivere secondo la legge del taglione. Per il Papa, non si può pensare il futuro costruendo una società basata sull’equità della violenza, una spirale senza uscita e senza pace.
“Per rendere il suo invito più concreto e applicabile nel quotidiano, Gesù propone una prima regola d’oro alla portata di tutti – «come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro» (Lc 6,31) – e ci aiuta a scoprire quello che è più importante in questa reciprocità di comportamento: amarci, aiutarci e prestare senza aspettare nulla in cambio. […] Superare i tempi di divisione e violenza implica non solo un atto di riconciliazione o la pace intesa come assenza di conflitto, implica l’impegno quotidiano di ognuno di noi ad avere uno sguardo attento e attivo che ci porta a trattare gli altri con quella misericordia e bontà con cui vogliamo essere trattati; misericordia e bontà soprattutto verso coloro che, per la loro condizione, vengono facilmente respinti ed esclusi. Si tratta di un atteggiamento non da deboli, ma da forti, un atteggiamento da uomini e donne che scoprono che non è necessario maltrattare, denigrare o schiacciare per sentirsi importanti; anzi, al contrario.”
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