Le parole di Papa Francesco nel viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo (primo e secondo giorno).
Le parole di Papa Francesco nel viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo (primo e secondo giorno).
In questi giorni Papa Francesco sta compiendo il viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo, mentre domani si sposterà in Sud Sudan per il pellegrinaggio ecumenico di pace insieme all’arcivescovo di Canterbury e al moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. Il pontefice è arrivato nel Paese africano martedì pomeriggio e nella capitale Kinshasa, dopo l’accoglienza ufficiale e la cerimonia di benvenuto presso il Palais de la Nation, ha incontrato il presidente della Repubblica e le autorità, assieme a rappresentanti della società civile e al corpo diplomatico. Nel discorso a loro rivolto, ha parlato attraverso l’immagine del diamante, accostandolo alla bellezza di questa terra, al prezioso bene che abbonda nel suo sottosuolo, ai cuori della gente. Per un futuro di pace e fraternità tutto ciò deve tornare nelle mani dei congolesi, ma serve eliminare la violenza e l’odio etnico, l’ingiustizia e la corruzione, lo sfruttamento economico delle risorse da parte di stranieri. In nome di Cristo, che è il Dio della speranza, tutti sono invitati a una ripartenza sociale coraggiosa e inclusiva.
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Mercoledì il Papa ha iniziato la giornata celebrando la messa presso l’aeroporto Ndolo. Nell’omelia, ha citato le parole rivolte da Cristo ai discepoli la sera di Pasqua, «Pace a voi!» (Gv 20,19), che più che un saluto sono una consegna: «Gesù proclama la pace mentre nel cuore dei discepoli ci sono le macerie, annuncia la vita mentre loro sentono dentro la morte. In altre parole, la pace di Gesù arriva nel momento in cui tutto per loro sembrava finito, nel momento più inatteso e insperato, quando non c’erano spiragli di pace. […] noi siamo chiamati a fare nostro e dire al mondo questo annuncio insperato e profetico del Signore.». Poi, Papa Francesco ha indicato tre sorgenti di pace per continuare ad alimentarla: il perdono, che nasce da una ferita, ma diventa luogo in cui accogliere le debolezze degli altri e, quindi, un’opportunità di aprirsi all’amore; la comunità, basata su ciò che unisce le persone e sulla condivisione; la missione, per portare misericordia a tutti.
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Nel pomeriggio, presso la Nunziatura apostolica il pontefice ha incontrato le vittime dell’est del Paese e i rappresentanti di alcune opere caritative. Alle prime, che devono vivere in una terra martoriata da conflitti e sfruttamento, ha detto di essere vicino e, per promuovere la pace, consiglia umilmente di cominciare da due no e da due sì. Il no alla violenza deve disarmare il cuore, perché amare la propria gente non significa nutrire odio nei riguardi degli altri (men che meno in nome di Dio), e il no alla rassegnazione impegna a costruire un futuro migliore, senza lasciarsi andare a scoraggiamento, sconforto e sfiducia. Il sì alla riconciliazione porta a perdonarsi a vicenda, trasformando la realtà da dentro invece che distruggerla da fuori, e con il sì alla speranza, che ha la sorgente in Gesù e va seminata con pazienza ogni giorno, il male non ha più l’ultima parola sulla vita.
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Infine il Papa, davanti agli operatori di opere caritative, ha affermato che lo ha stupito che essi gli hanno non solo elencato i problemi sociali, ma parlato con affetto dei poveri, con uno sguardo che sa riconoscere Gesù nei suoi fratelli più piccoli. Poi ha condiviso due interrogativi. Anzitutto: ne vale la pena? Non è sconfortante impegnarsi di fronte a innumerevoli bisogni in costante e drammatico aumento? Aiuta ricordarsi che la carità sintonizza con Dio ed Egli ci sorprende con prodigi insperati che avvengono per mezzo di chi ama. Ancora: come farlo? Quali sono i criteri da seguire per fare la carità? Servono esemplarità, lungimiranza e connessione, elementi che permettono rendere il servizio a Gesù nei poveri una testimonianza feconda.
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