Diventiamo come Gesù una porta aperta che non viene sbattuta in faccia a nessuno

Le parole di Papa Francesco nel secondo e terzo giorno del viaggio apostolico in Ungheria.

Sabato pomeriggio il viaggio apostolico in Ungheria di Papa Francesco è proseguito, prima dell’incontro privato con i membri della Compagnia di Gesù presso la nunziatura apostolica, con il meeting con i giovani alla Papp László Budapest Sportaréna. Nel suo discorso ha detto che la gioventù è tempo di grandi domande e grandi risposte ed è importante che ci sia qualcuno che provochi e ascolti gli interrogativi senza dare responsi facili o preconfezionati che non rendono felici. Così, infatti, faceva Gesù, che prima di dare risposte poneva domande, rimanendo a fianco di chi gli stava accanto. Egli «non vuole che i suoi discepoli siano scolari che ripetono una lezione, ma che siano giovani liberi e camminino, compagni di strada di un Dio che ascolta, che ascolta i loro bisogni ed è attento ai loro sogni». Il Signore, che non ci vuole pigri e timidi, è contento se puntiamo in alto e raggiungiamo i nostri traguardi da protagonisti. L’invito del pontefice ai giovani è di «prendere in mano la vita per aiutare il mondo a vivere in pace».

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Domenica, il Papa ha celebrato la messa nella piazza Kossuth Lajos della capitale. Nella sua omelia, si è soffermato sul significato delle due azioni che, secondo il Vangelo, il buon pastore compie per le sue pecore: prima le chiama, poi le conduce fuori. Anche Gesù ci chiama, «in ogni situazione della vita, in ciò che portiamo nel cuore, nei nostri smarrimenti, nelle nostre paure, nel senso di sconfitta che a volte ci assale, nella prigione della tristezza che rischia di ingabbiarci», e lo fa per nome, «per dirci quanto siamo preziosi ai suoi occhi, per curare le nostre ferite e prendere su di sé le nostre debolezze, per raccoglierci in unità nel suo ovile e renderci familiari con il Padre e tra di noi». Dopo essere stati radunati nella famiglia di Dio, «siamo inviati nel mondo affinché, con coraggio e senza paura, diventiamo annunciatori della Buona Notizia, testimoni dell’Amore che ci ha rigenerati». Ciò significa che, come Gesù, dobbiamo diventare una porta aperta, senza rinchiudersi nell’egoismo, nell’individualismo e nell’indifferenza verso chi è sofferente, povero, straniero, diverso, migrante.

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Nel pomeriggio, prima del volo di ritorno, il Papa ha incontrato il mondo universitario e della cultura presso la Facoltà di Informatica e scienze bioniche dell’Università cattolica Péter Pázmány. Nel suo discorso, ha citato Romano Guardini per dire che non si deve demonizzare la tecnica, che permette di vivere meglio, ma bisogna stare attenti al rischio che essa diventi regolatrice, se non dominatrice, della vita. Oggi, seguendo la «logica del “si può fare dunque è lecito”», la natura sta reagendo all’uso strumentale che ne abbiamo fatto e le comunità si stanno disgregando mettendo al centro l’individuo, che, succube di un capitalismo selvaggio, si consola con la tecnica per riempire un vuoto. La cultura ci deve dunque servire per seguire l’esortazione dell’oracolo di Delfi «Conosci te stesso», ovvero per riconoscere i propri limiti e arginare la presunzione di autosufficienza. Questa è una frase guida che Francesco ha voluto lasciare ai presenti, assieme a quella di Gesù «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32): «è vero ciò che libera, quello che libera l’uomo dalle sue dipendenze e dalle sue chiusure» e «la chiave per accedere a questa verità è un conoscere mai slegato dall’amore, relazionale, umile e aperto, concreto e comunitario, coraggioso e costruttivo».

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