L’esperienza ci dice che l’odio, la divisione e la vendetta non fanno che uccidere l’anima

Le parole di Papa Francesco ai sacerdoti e ai religiosi e nell’omelia nel secondo giorno del viaggio apostolico in Marocco.

“A che cosa è simile un cristiano in queste terre? A che cosa lo posso paragonare? È simile a un po’ di lievito che la madre Chiesa vuole mescolare con una grande quantità di farina, fino a che tutta la massa fermenti. Infatti, Gesù non ci ha scelti e mandati perché diventassimo i più numerosi! Ci ha chiamati per una missione. Ci ha messo nella società come quella piccola quantità di lievito: il lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno nel quale come cristiani ci possiamo tutti ritrovare per rendere presente il suo Regno. E qui mi viene in mente il consiglio che San Francesco dette ai suoi frati, quando li inviò: “Andate e predicate il Vangelo: se fosse necessario, anche con le parole.”

Ieri, nella mattinata del secondo giorno del viaggio apostolico in Marocco, Papa Francesco ha incontrato i sacerdoti, i religiosi, i consacrati e il Consiglio ecumenico delle Chiese nella cattedrale di Rabat, sottolineando fin da subito che le vie della missione non passano attraverso il proselitismo, ma l’attrazione e la testimonianza.

“Affermare che la Chiesa deve entrare in dialogo non dipende da una moda– oggi c’è la moda del dialogo, no, non dipende da quello –, tanto meno da una strategia per aumentare il numero dei suoi membri, no, neppure è una strategia. Se la Chiesa deve entrare in dialogo è per fedeltà al suo Signore e Maestro che, fin dall’inizio, mosso dall’amore, ha voluto entrare in dialogo come amico e invitarci a partecipare della sua amicizia. Così, come discepoli di Gesù Cristo, siamo chiamati, fin dal giorno del nostro Battesimo, a far parte di questo dialogo di salvezza e di amicizia, di cui siamo i primi beneficiari. Il cristiano, in queste terre, impara ad essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. Un dialogo che, pertanto, siamo invitati a realizzare alla maniera di Gesù, mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29), con un amore fervente e disinteressato, senza calcoli e senza limiti, nel rispetto della libertà delle persone.”

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Nel primo pomeriggio, Papa Francesco ha infine celebrato la messa nel complesso sportivo Principe Moulay Abdellah, sempre a Rabat. L’omelia sulla parabola del padre misericordioso inizia con l’opposizione all’accoglienza del figliol prodigo da parte del fratello.

“Sulla soglia di quella casa sembra manifestarsi il mistero della nostra umanità: da una parte c’era la festa per il figlio ritrovato e, dall’altra, un certo sentimento di tradimento e indignazione per il fatto che si festeggiava il suo ritorno. Da un lato l’ospitalità per colui che aveva sperimentato la miseria e il dolore, che era giunto persino a puzzare e a desiderare di cibarsi di quello che mangiavano i maiali; dall’altro lato l’irritazione e la collera per il fatto di fare spazio a chi non era degno né meritava un tale abbraccio. Così, ancora una volta emerge la tensione che si vive tra la nostra gente e nelle nostre comunità, e persino all’interno di noi stessi. Una tensione che, a partire da Caino e Abele, ci abita e che siamo chiamati a guardare in faccia. Chi ha il diritto di rimanere tra di noi, di avere un posto alla nostra tavola e nelle nostre assemblee, nelle nostre preoccupazioni e occupazioni, nelle nostre piazze e città? Sembra che continui a risuonare quella domanda fratricida: sono forse il custode di mio fratello? (cfr Gen 4,9).”

A fronte dello scontro e del conflitto, a lottare per la fraternità c’è però il desiderio del padre, che, senza elucubrazioni né scuse, cerca la gioia per tutti. Non si può negare l’esistenza di situazioni che possono condurci alla divisione, ma l’odio e la vendetta non fanno altro che uccidere la nostra anima.

“Perciò Gesù ci invita a guardare e contemplare il cuore del Padre. Solo da qui potremo riscoprirci ogni giorno come fratelli. Solo a partire da questo orizzonte ampio, capace di aiutarci a superare le nostre miopi logiche di divisione, saremo capaci di raggiungere uno sguardo che non pretenda di oscurare o smentire le nostre differenze cercando forse un’unità forzata o l’emarginazione silenziosa. Solo se siamo capaci ogni giorno di alzare gli occhi al cielo e dire Padre nostro potremo entrare in una dinamica che ci permetta di guardare e di osare vivere non come nemici, ma come fratelli.”

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