Celestino V non è stato “colui che fece il gran rifiuto”, è stato l’uomo del “sì”

Le parole di Papa Francesco alla visita pastorale all’Aquila per la Perdonanza celestiniana.

Ieri Papa Francesco si è recato in visita pastorale all’Aquila, iniziata con la visita della cattedrale cittadina, ancora disastrata dopo il terremoto del 2009, e conclusa alla basilica di Santa Maria in Collemaggio con il rito dell’apertura della Porta santa, accompagnato dall’estensione dell’indulgenza plenaria della Perdonanza che durerà in via straordinaria fino al 28 agosto 2023 invece che, come stabilito a fine XIII secolo da Celestino V, solamente dai vespri del 28 agosto a quelli del giorno successivo. Sul sagrato del duomo, il Papa ha incontrato i familiari delle vittime del terremoto, le autorità e i cittadini, dicendo loro che le belle parole aiutano, ma il dolore rimane, e soltanto camminare aiutandosi come fratelli ad andare avanti vuol dire essere popolo di Dio che risolve i problemi dolorosi. Ha poi aggiunto:

«C’era tutto da ricostruire: le case, le scuole, le chiese. Ma, voi lo sapete bene, questo si fa insieme alla ricostruzione spirituale, culturale e sociale della comunità civica e di quella ecclesiale. La rinascita personale e collettiva, dopo una tragedia, è dono della Grazia ed è anche frutto dell’impegno di ciascuno e di tutti insieme. Sottolineo quell’“insieme”: non a piccoli gruppetti, no, insieme, tutti insieme. È fondamentale attivare e rafforzare la collaborazione organica, in sinergia, delle istituzioni e degli organismi associativi: una concordia laboriosa, un impegno lungimirante, perché stiamo lavorando per i figli, per i nipoti, per il futuro».

Leggi qui il testo completo del saluto

Successivamente, sul piazzale della Basilica di Collemaggio Papa Francesco ha celebrato la messa, dopo la quale ha aperto la Porta santa per la Perdonanza celestiniana, il primo pontefice nella storia a farlo. All’inizio dell’omelia ha subito ribaltato una visione consolidata: «Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come “colui che fece il gran rifiuto”, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia; ma Celestino V non è stato l’uomo del “no”, è stato l’uomo del “sì”». Infatti, non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili, che agli occhi degli uomini appaiono deboli e perdenti, ma in realtà sono i veri vincitori perché gli unici che confidano completamente nel Signore. In un mondo dominato dall’orgoglio e dalla logica di potere, la Sua Parola ci invita a farci miti. Ciò non vuol dire svalutare sé stessi, bensì riconoscere le proprie potenzialità e anche le proprie miserie. Per questo Celestino V è stato testimone della misericordia divina.

«Ognuno nella vita, senza per forza vivere un terremoto, può, per così dire, fare esperienza di un “terremoto dell’anima”, che lo mette in contatto con la propria fragilità, i propri limiti, la propria miseria. In questa esperienza si può perdere tutto, ma si può anche imparare la vera umiltà. In tali circostanze ci si può lasciar incattivire dalla vita, oppure si può imparare la mitezza. Umiltà e mitezza, allora, sono le caratteristiche di chi ha il compito di custodire e testimoniare la misericordia. Sì, perché la misericordia, quando viene da noi è perché noi la custodiamo, e anche perché noi possiamo dare testimonianza di questa misericordia. È un dono per me, la misericordia, per me misero, ma questa misericordia dev’essere anche trasmessa agli altri come dono da parte del Signore».

Leggi qui il testo completo dell’omelia