Le parole di Papa Francesco nella visita pastorale a Trieste.
Le parole di Papa Francesco nella visita pastorale a Trieste.
In occasione della cinquantesima Settimana sociale dei cattolici in Italia, ieri Papa Francesco si è recato in visita pastorale a Trieste. Ai partecipanti al congresso ha detto che «è evidente che nel mondo di oggi la democrazia […] non gode di buona salute» e questo è preoccupante per il bene dell’uomo. Nella storia recente, i cattolici hanno contribuito a far maturare l’ordinamento democratico con una visione radicata nella Dottrina Sociale della Chiesa e oggi sono chiamati ad assumersi la propria responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali in corso. A partire dall’immagine scelta come tema per l’appuntamento (la Settimana sociale di quest’anno si intitola “Al cuore della democrazia”), il pontefice ha proposto due riflessioni per alimentare il percorso futuro.
Innanzitutto, la crisi della democrazia può essere vista come un cuore ferito, che limita la partecipazione e produce forme di esclusione sociale. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone, e i giovani non vengono educati al processo democratico, col rischio di derive ideologiche e populistiche. A tale scopo, afferma il Papa, rimangono fecondi i principi di solidarietà e sussidiarietà. Affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato, occorre incoraggiare a partecipare, esercitando la creatività e prendendosi cura di tutto. Per far rifiorire i rapporti sociali occorrono fraternità e il coraggio di pensarsi come popolo. «Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte».
Clicca qui per leggere il testo completo del discorso
Successivamente, Francesco si è recato in piazza Unità d’Italia per celebrare la messa. Ha iniziato la sua omelia dicendo che «Per ridestare la speranza dei cuori affranti e sostenere le fatiche del cammino, Dio sempre ha suscitato profeti in mezzo al suo popolo», il quale si è però fatto spesso trovare testardo e indurito (Ez 2,4). Anche Gesù ha fatto la stessa esperienza dei profeti, come quando, di ritorno a Nazaret, non è stato riconosciuto dalla gente con cui è cresciuto. Anzi, viene visto come uno scandalo (Mc 6,3), un ostacolo che impedisce di andare oltre. L’impedimento che impedisce di credere a Cristo è la sua umanità in quanto Figlio di Dio.
Considerando le sfide che ci interpellano, «Abbiamo bisogno dello scandalo della fede», non di «una religiosità chiusa in sé stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade». Questa fede deve entrare nella storia, accarezzare la vita della gente, risanare i cuori spezzati, diventare lievito di speranza per un mondo nuovo. Deve svegliare le coscienze dal torpore, mettere il dito nelle piaghe della società, suscitare domande sul futuro dell’uomo. Invece di scandalizzarci inutilmente di tante piccole cose, dovremmo farlo dinanzi al male che dilaga e alla vita che viene umiliata. Se restiamo apatici e indifferenti alle ingiustizie, è perché «abbiamo paura di trovare Cristo, lì».
Associazione Rete Sicomoro | direttore Enrico Albertini
Via Fusara 8, 37139 Verona | P.IVA e C.F. 03856790237
Telefono 351 7417656 | E-mail info@retesicomoro.it
Privacy policy | © 2024 Rete Sicomoro