La percezione negativa dei farisei va rettificata

Le incomprensioni e i pregiudizi nei loro confronti non hanno una base concreta nei resoconti evangelici.

“Fariseo, nella cultura cattolica, non è una bella parola. Viene usata per indicare un ipocrita, uno che dice belle cose che poi non fa. Ma in realtà dei farisei si conosce poco, se non alcune frasi dei vangeli. Che dovrebbero però essere contestualizzate correttamente. Nelle omelie e nella tradizione cattolica popolare questo avviene raramente, e i farisei sono spesso presentati come esempi negativi.”

In occasione del centodecimo anniversario della sua fondazione (1909-2019), il Pontificio Istituto Biblico ha organizzato, dal 7 al 9 maggio 2019 presso l’Università Gregoriana, un convegno internazionale sul tema “Gesù e i farisei. Un riesame interdisciplinare”. Accademici e studiosi ebrei e cristiani da varie parti del mondo si sono confrontati per cercare di rettificare la percezione negativa dei farisei, invece molti importanti per il giudaismo rabbinico.

Come raccontato da Città Nuova, i farisei erano il gruppo religioso più significativo e stimato dal popolo fino alla seconda distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta nel 70 d.C., ed è da loro che per molti discende l’ebraismo rabbinico. I rapporti tra loro e Gesù, presentati dai Vangeli, sono vivaci, certo a volte conflittuali. Ma è stata una serie di incomprensioni e pregiudizi che si sono sviluppati nei secoli a creare una percezione popolare che ha danneggiato l’immagine di questo gruppo religioso e compromesso la convivenza tra le comunità cristiana ed ebraica.

Tutto ciò nonostante si conosca poco dei tratti in comune tra Gesù e i farisei, che invece si possono apprezzare considerando la situazione religiosa, politica e culturale dell’epoca. Una rottura fra l’ebraismo e la nascente Chiesa c’è stata durante la Prima guerra giudaica combattuta tra il 66 e il 70 d.C., quindi durante il periodo in cui furono scritti i Vangeli, e questo può aver influito sulla rappresentazione negativa della figura del fariseo da parte cristiana.

Tramite i racconti sui farisei e le interpretazioni sia erudite che popolari, il termine ha assunto, senza una base concreta nei resoconti evangelici, il significato di “persona ipocrita” o “presuntuoso”. Per estensione, tale visione è stata col tempo generalizzata agli ebrei. Ma, come detto da Papa Francesco all’udienza con i docenti e gli studenti dell’Istituti Biblico e i partecipanti al convegno, i recenti studi riconoscono che «oggi sappiamo meno dei farisei di quanto pensassero le generazioni precedenti. Siamo meno certi delle loro origini e di molti dei loro insegnamenti e delle loro pratiche».

“Se prendiamo in considerazione il Nuovo Testamento, vediamo che San Paolo annovera tra quelli che una volta, prima di incontrare il Signore Gesù, erano i suoi motivi di vanto anche il fatto di essere «quanto alla Legge, fariseo» (Fil 3,5). Gesù ha avuto molte discussioni con i Farisei su preoccupazioni comuni. Ha condiviso con loro la fede nella risurrezione (cfr Mc 12,18-27) e ha accettato altri aspetti della loro interpretazione della Torah. Se il libro degli Atti degli Apostoli asserisce che alcuni Farisei si unirono ai seguaci di Gesù a Gerusalemme (cfr 15,5), significa che doveva esserci molto in comune tra Gesù e i Farisei. Lo stesso libro presenta Gamaliele, un leader dei Farisei, che difende Pietro e Giovanni (cfr 5,34-39).”

Oltre al caso unico di Nicodemo, i Vangeli sinottici riportano un incontro tra Gesù e un capo religioso del suo tempo e l’argomento è il primo comandamento. Nel Vangelo di Marco (12,28-34), uno scriba, che per Matteo è un fariseo che sta cercando di mettere alla prova Gesù (22,34-35), sta dialogando con un insegnante e Gesù gli dice: «Non sei lontano dal regno di Dio» (12,34), dimostrando così l’alta stima che aveva per una figura come la sua.

“Rabbi Aqiba, uno dei rabbini più famosi del secondo secolo, erede dell’insegnamento dei Farisei, indicava il passo di Lv 19,18: «amerai il tuo prossimo come te stesso» come un grande principio della Torah. Secondo la tradizione, egli morì come martire con sulle labbra lo Shema’, che include il comandamento di amare il Signore con tutto il cuore, l’anima e la forza (cfr Dt 6,4-5). Pertanto, per quanto possiamo sapere, egli sarebbe stato in sostanziale sintonia con Gesù e il suo interlocutore scriba o fariseo. Allo stesso modo, la cosiddetta regola d’oro (cfr Mt 7,12), anche se in diverse formulazioni, è attribuita non solo a Gesù, ma anche al suo contemporaneo più anziano Hillel, di solito considerato uno dei principali Farisei del suo tempo. Tale regola è già presente nel libro deuterocanonico di Tobia (cfr 4,15). Quindi, l’amore per il prossimo costituisce un indicatore significativo per riconoscere le affinità tra Gesù e i suoi interlocutori Farisei. Esso costituisce certamente una base importante per qualsiasi dialogo, specialmente tra ebrei e cristiani, anche oggi.”