Con i migranti bisogna essere straordinari nell’ordinario

In Portogallo, in piena pandemia è nata un’esperienza di accoglienza che accompagna i profughi verso una nuova vita.

A maggio 2020, in piena prima ondata pandemica, l’Alto commissariato per le migrazioni del Portogallo ha chiesto alla Fondazione Allamano, braccio sociale operativo dei missionari della Consolata, di accogliere il ghanese Michael nella loro casa di Aguas Santas, a dieci chilometri dalla città di Oporto. Il ventiquattrenne migrante ha attraversato l’Africa e, dopo aver lavorato qualche mese in Libia senza essere pagato, è stato costretto da uomini armati ad andare in Europa. Chi non accettava, veniva ammazzato. Dopo due notti in mare, una nave è giunta in soccorso e ha portato lui e i suoi compagni di traversata a Lampedusa. Un anno dopo è arrivato in Portogallo.

Come racconta la rivista Missioni Consolata, dopo questa prima esperienza il progetto di accoglienza si è fatto mese dopo mese più strutturato, anche nell’ottica di accompagnare gli ospiti verso l’autonomia. Ora le persone ricevute sono arrivate a ventotto, uomini quasi tutti tra i venti e i trent’anni, giunti dopo analoghe brutte esperienze e lunghi viaggi. Vengono da Camerun, Nigeria, Guinea Bissau, Guinea Conakry, Mali, Gambia, Senegal, Togo, Afghanistan, Pakistan per cercare lavoro.

Il protocollo prevede un’ospitalità di diciotto mesi, il tempo per iniziare un processo di integrazione e autonomia che parte dall’imparare la lingua e dal trovare un lavoro, che tutti iniziano già dopo tre mesi. Qualcuno se n’è andato via dopo poco, comunque ringraziando, perché il Portogallo è una meta meno ambita di Francia Germania e Inghilterra. Buona parte di essi ha effettuato tutto il percorso, ma poi si è dovuta scontrare con nuove difficoltà: il costo delle abitazioni e il rinnovo dei documenti di soggiorno di sei mesi in sei mesi, cosa che non permette di trovare un lavoro stabile e un affitto.

José Miranda, volontario laico della fondazione, parla di questa iniziativa come di una vera e propria missio ad gentes in Europa rivolta ai più poveri tra i poveri, i migranti. Nella struttura, nella quale vivono separatamente anche otto missionari della Consolata sempre presenti tra i profughi, gli ospiti tengono in ordine le proprie stanze e i luoghi comuni e vengono aiutati con i documenti, le questioni sanitarie, la preparazione ai colloqui con le aziende. La maggior parte di loro sono musulmani, pochi i cristiani e i non credenti. Questa è una sfida che arricchisce, perché c’è grande rispetto. In modo naturale, uno della Guinea Bissau ha chiesto di essere battezzato e in cinque hanno iniziato a fare la catechesi. Per José, l’obiettivo è «essere straordinari nell’ordinario».