Le preparazioni per il Natale sono infinite, mentre la festa dura il tempo di un lampo

In un inedito del 1933 (ma ancora attuale) dello scrittore Gilbert Keith Chesterton, una critica alla percezione moderna del Natale.

“È una caratteristica dei nostri tempi quella di creare aspettative grandiose sul Natale, trasformandolo in un gigantesco spot pubblicitario. La maggior parte dei giornalisti inizia a scrivere i primi articoli sulla stagione natalizia alla fine dell’estate e si prepara a lanciarli già nel cuore dell’autunno. Iniziano a pensare all’agrifoglio e al vischio mentre fioriscono ancora le ultime rose dell’estate e immaginano che fiocchi la neve nella foresta quando a cadere sono solo le foglie.”

Inizia così un inedito del 1933 dello scrittore Gilbert Keith Chesterton, pubblicato su Avvenire. Questo testo critica la percezione moderna (siamo negli anni Trenta del secolo scorso, ma il ragionamento è attuale) del Natale, con l’incessante aumento del clamore per l’approssimarsi delle feste natalizie che la festività in sé, dal Natale all’Epifania, poi non riesce a suscitare in modo altrettanto vigoroso.

“Gli uomini d’oggi pensano che quando la festa è arrivata sia già finita. Nel mondo commerciale odierno le preparazioni per il Natale sono infinite mentre la festa dura il tempo di un lampo. Il che contrasta nettamente con le usanze antiche, ai tempi in cui la festa era sacra per la gente semplice, quando ci si preparava con austerità all’Avvento e si digiunava alla vigilia. Poi però esplodeva una festa continua e gioiosa che durava dodici giorni.”

Chesterton fa un esempio: è meglio che un monello mangi troppo pudding il giorno di Natale piuttosto che diventi pessimista a furia di vedere immagini pubblicitarie di torte natalizie mesi prima di poter addentare il dolce. Per lo scrittore britannico, bisogna gustare le prelibatezze quando vengono consumate. Inoltre, ricorda una storia che racconta come dentro un dolce natalizio furono incredibilmente trovati sei centesimi. Un guadagno inatteso, che si contrappone a quello dei mercanti spregiudicati che pensano a guadagnare più del dovuto dalla vendita dei beni che aiutano a rendere il Natale una festa.

“Vi è un senso di perversione, non estranea a una certa dissacrazione, quando il commercio trasforma completamente una tradizione di origine sacra. Milioni di persone rette e di valore ci tengono ancora al Natale; e in tutta sincerità lo mantengono sacro e felice. Ma vi sono coloro che, approfittando di istinti naturali come la giocosità e la ricerca del piacere, lo hanno trasformato in qualcosa di molto più vile della giocosità o della ricerca del piacere. Hanno tradito il Natale. Per loro l’essenza del Natale, così come l’essenza del pudding natalizio, è diventata qualcosa di stantio da seppellire con i loro tesori; e hanno solamente moltiplicato i sei centesimi in trenta denari.”