Il presepe delle origini

Nei sarcofagi paleocristiani le scene della natività e dell’adorazione dei magi combinavano vangeli canonici e apocrifi.

Diversi sarcofagi di pietra del IV secolo conservati al Museo Pio Cristiano, parte dei Musei Vaticani, mostrano molte similitudini nella rappresentazione delle scene della nascita di Gesù e dell’adorazione del Bambino da parte dei magi. Queste raffigurazioni paleocristiane, in un secolo in cui il cristianesimo iniziava a essere tollerato, avevano l’obiettivo di celebrare l’incarnazione del Signore. In uno di tali rilievi, Maria, vestita alla romana con una tunica e un manto che le ricopre il capo, viene scolpita all’estrema destra seduta in un atteggiamento pensoso, con lo sguardo che, orientato verso l’esterno della scena, sembra rivolto al futuro e al destino del figlio.

Al suo fianco si trova, in piedi, il profeta Balaam, che sembra un giovane pastore con indosso una corta tunica e un bastone, con il braccio alzato sopra la testa di Gesù in riferimento a una sua profezia: «Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17). Dunque, vicino alla Madonna non c’è Giuseppe, la cui figura all’epoca non rientrava nella rappresentazione della natività in quanto si seguiva quello che è raccontato nel protovangelo di Giacomo: egli sarebbe andato in città a cercare una levatrice, lasciando Maria a partorire al solo cospetto di Dio.

Sotto un semplice tetto, ecco scolpito il Bambino grande come un adulto, completamente fasciato con il solo volto scoperto e messo in una grossa cesta, richiamo alla mangiatoia (presepe) di cui parla l’evangelista Luca (2,7). È il Messia annunciato dai profeti, dice Matteo, che porta a compimento le scritture, è l’Emmanuele (Is 7,14), Dio-con-noi, concepito da una vergine e rifiutato dal suo popolo. Ai piedi di Gesù stanno il bue e l’asino, che assieme alla stalla sono presenti solo nel Vangelo dello Pseudo-Matteo (Matteo parla di casa: 2,11). I due animali rimandano simbolicamente a quel rifiuto: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende» (Is 1,3).

La stella della profezia di Balaam si vede in alto, accanto al tetto della stalla: è aureolata a sei punte, derivante iconograficamente dal monogramma cristologico dove si sovrappongono la “X” e la “I” di Cristo. La stella è la stessa che i magi seguono per raggiungere il Figlio di Dio (Mt 2,1-2). Vestiti all’orientale con i pantaloni e il berretto frigio, sono raffigurati in cammino e indaffarati a portare i loro doni. Anche se il Vangelo non dice quanti erano e chi fossero, sono tre, numero che rimarrà nella tradizione cristiana. Secondo una rilettura successiva del passo «Cammineranno le nazioni alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60,3), essi rappresentano l’intera umanità. L’opera è dunque una chiamata universale alla salvezza al cospetto di Cristo.