In Ciad un progetto di religiosi e Caritas permette di mantenere i legami col proprio territorio nonostante i cambiamenti climatici.
In Ciad un progetto di religiosi e Caritas permette di mantenere i legami col proprio territorio nonostante i cambiamenti climatici.
In Ciad, nella regione di Mongo, fino a qualche decennio fa la donna aveva come compito principale la preparazione dei pasti quotidiani, mentre il marito coltivava il miglio e andava a caccia. Se lui non riusciva a portare qualcosa a casa, la donna sopperiva con le arachidi da lei coltivate e con radici e foglie raccolte nei boschi al limitare del villaggio, dove trovava anche acqua e legna. Ma, nell’ultimo periodo, la deforestazione e la carenza di piogge hanno fortemente ridotto queste disponibilità. Il gesuita padre Franco Martellozzo, da oltre cinquant’anni missionario nel Paese, ha raccontato a Fides qual è la situazione.
«Per trovare acqua e legna le donne sono costrette a fare lunghe camminate, mentre radici e foglie commestibili sono divenute più rare. La loro vita si è fatta dura. In alcune zone poi, quando per la diminuzione delle piogge il raccolto del miglio è quasi nullo, le donne traslocano a sud del Paese, dove i raccolti sono abbondanti, in cerca di lavoro. Anche i mariti partono a cercare lavoro in città. E le famiglie si dividono.»
La scommessa per la rinascita di queste comunità è partita nel 1994, anno di grande carestia in Ciad, quando il direttore della scuola elementare cattolica di Bagwa ha pensato di sfruttare un avvallamento del terreno, dove si era accumulata la scarsa pioggia, per coltivare insalata e pomodori. Le donne del villaggio, attratte dalla riuscita dell’esperimento, hanno capito il vantaggio che sarebbe loro derivato. Così, hanno iniziato a scavare una buca per raggiungere la falda e tirare su l’acqua con corde e secchielli e creare il primo orto, protetto da una siepe contro gli animali.
Il raccolto è promettente, ma una notte una mandria di buoi sfonda la protezione e distrugge l’orto. La delusione delle donne è tanta, aumentata dal crollo del pozzo all’arrivo della stagione delle piogge. Così, religiosi e religiose decidono di aiutarle: il pozzo viene ricostruito in cemento e l’orto viene circondato da una rete metallica. Il primo raccolto è un successo e gruppi di altre donne dai villaggi vicini prima, da tutta la regione poi, si interessano.
L’attività è diventata un importante progetto della Caritas locale, permettendo a molte donne di sostenere le famiglie con la coltivazione di verdure e legumi, che vendono anche al mercato, e di non dover più migrare al sud. Inoltre, i bambini, aiutando le mamme, imparano a occuparsi dell’orto. In questo modo, i legami familiari non vengono più spezzati. Conclude padre Franco:
«L’orto è di più di un semplice campo coltivato. È un luogo di riflessione e di scambio che necessariamente apre loro una nuova visione della vita. È anche un modo per imparare a prendere insieme le decisioni. Una forma di democrazia nata dal basso e, soprattutto, al femminile.»
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