Prospettive per una Chiesa di minoranza

In un’Europa in cui la partecipazione alla vita ecclesiale è in forte calo c’è chi propone per il futuro modelli monastici e settari.

Nell’Europa di oggi sono sempre più evidenti i segnali di una scolarizzazione diffusa, accelerata in questi ultimi anni dal massiccio allontanamento delle nuove generazioni dalle chiese cristiane. In Francia solo il 2% della popolazione va a messa regolarmente la domenica, mentre nei Paesi Bassi oltre la metà degli abitanti dichiara di non appartenere a nessuna fede e in Germania coloro che si definiscono aconfessionali sono oltre il 40% della cittadinanza. In Italia la tendenza sembra andare in questa direzione. Un articolo di Avvenire riporta il pensiero di Martin Werlen, ex abate del monastero benedettino di Einsiedeln in Svizzera, il quale ha provato a formulare delle proposte per fronteggiare la situazione destabilizzante che si sta consolidando in Occidente, ovvero quella di una Chiesa di minoranza.

Il punto di partenza della sua riflessione sta nella necessità di liberare il Vangelo dalle incrostazioni di una consuetudine ecclesiastica che ne blocca la capacità di ascoltare, interrogare e comprendere gli esseri umani contemporanei. Questa è un’eco di uno degli appelli di Papa Francesco: «Per continuare a riscoprire e a vivere la vocazione, le tradizioni devono essere messe in discussione», dove non di parla della Tradizione con l’iniziale maiuscola, ma di tutte le pratiche consolidatesi nel corso dei secoli. Per fare ciò occorre guardare all’approccio, che si potrebbe definire anti-perbenista e anti-borghese, di Gesù, che va verso i peccatori e i farisei. I membri della Chiesa permettono che ciò accada? Hanno il coraggio di convertirsi continuamente? Per Werlen, che attinge alla sua esperienza monastica dell’ora et labora, in un tempo di ritorno a un cristianesimo di minoranza il silenzio, la preghiera, l’accoglienza, l’incontro possono essere delle vie di riscoperta e rinnovata vitalità. Queste buone pratiche diventerebbero delle testimonianze per segnalare nel mondo la differenza evangelica.

Anche Fulvio Ferrario, professore di Teologia sistematica e decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, si è interrogato sulla contrazione numerica delle Chiese e sul calo della partecipazione alla vita ecclesiale. Su Confronti, ha scritto che una speranza di sopravvivenza potrebbe essere perseguire un’impostazione più “settaria”. Il termine “setta” non è inteso in senso negativo, ma come un’aggregazione religiosa in dialettica con l’ambiente sociale dove i membri sono fortemente e consapevolmente impegnati. Esso si contrappone a “Chiesa”, che vive in armonia con la società e ha un nucleo molto partecipe rispetto a cerchi concentrici caratterizzati da un livello decrescente di coinvolgimento. Le persone meno militanti sono quelle che a un certo punto troncano un legame divenuto ormai solo formale. Nel futuro della società europea, considerando che questo fenomeno si sta facendo sempre più consistente, è utile pensare a una Chiesa settaria, con un nucleo di individui impegnati il meno ridotto possibile. Così, l’evangelizzazione non andrebbe rivolta ai non fedeli, ma a coloro che si collocano ancora all’interno della comunità religiosa anche se distanti dalle pratiche del nucleo centrale. Poi potrà accadere, come storicamente è successo, che una setta riadotti il modello ecclesiale.