In Pakistan continuano le discriminazioni e le aggressioni su base religiosa senza che la giustizia prenda provvedimenti.
In Pakistan continuano le discriminazioni e le aggressioni su base religiosa senza che la giustizia prenda provvedimenti.
Saleem Masih, un cristiano di ventidue anni, un giorno verso la fine di febbraio si era recato al pozzo del villaggio di Baguyana, all’interno del distretto di Kasur nel Punjab pakistano, per prendere dell’acqua per lavarsi dopo il lavoro. Ma non era solo. Alcune persone si sono avvicinate apostrofandolo con il termine dispregiativo choora, ovvero sporco, intoccabile. È uscita una sbarra di ferro rovente, con la quale gli aggressori hanno cominciato a percuoterlo. Il motivo? Avrebbe contaminato il pozzo da cui aveva attinto l’acqua. Trasportato all’ospedale di Lahore, dopo tre giorni è morto.
Purtroppo, questo non è un caso isolato, perché situazioni simili si verificano ogni giorno in tutto il Pakistan, senza che i media ne parlino e senza che la giustizia si impegni a prendere provvedimenti per fermare le discriminazioni su base religiosa. Spesso, la polizia pakistana è di parte quando si tratta di affrontare casi tra musulmani e non musulmani ed è difficile che gli autori dei crimini finiscano dietro le sbarre. All’Agenzia Fides p. Qaisar Feroz ofm cap, segretario esecutivo della Commissione episcopale per le comunicazioni sociali, ha commentato così l’omicidio:
«Tale atto di discriminazione e pregiudizio rivela l’ignoranza e il grado di intolleranza delle persone coinvolte nell’uccisione di giovani cristiani. È triste sapere che una persona viene uccisa per essersi lavata ad un pozzo, con l’accusa di averne inquinato l’acqua. Saleem si stava sciacquando dopo aver lavorato nei campi agricoli. Urge cambiare questa mentalità: dobbiamo trattare tutti come esseri umani, ma molta gente è piena di odio per i non musulmani. Ora ha perso la vita un altro essere umano.»
L’assassinio di Saleem ricorda il caso di Asia Bibi, in cui la lite iniziò per una fonte d’acqua, o quello del giovane studente Javed Anjum, torturato per cinque giorni (e poi morto) per aver bevuto acqua dal rubinetto di una madrasa, la scuola islamica. Sabir Michael, attivista per i diritti umani e delle minoranze, ha dichiarato in merito:
«Tali incidenti si verificano in sequenza contro le minoranze religiose in Pakistan che sono socialmente, economicamente e politicamente svantaggiate. Questo omicidio mostra che il governo e le autorità statali sono incapaci di controllare tali discriminazioni e persecuzioni a causa della fede.»
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