In Palestina venivano usati differenti idiomi a seconda che il contesto fosse colto, liturgico, internazionale, popolare.
In Palestina venivano usati differenti idiomi a seconda che il contesto fosse colto, liturgico, internazionale, popolare.
Nella Palestina di duemila anni fa, si usavano diverse lingue a seconda dei contesti: l’ebraico, l’aramaico, il greco, il latino. Come ricostruisce il cardinale Gianfranco Ravasi, quest’ultimo era parlato quasi esclusivamente dagli occupanti romani ed è per questo che fu utilizzato per scrivere il titolo di Cristo sul cartiglio della croce (Gv 19,20). Il greco, invece, era l’idioma internazionale anche nell’impero romano, una sorta di inglese dell’epoca. Era conosciuto dalle classi altolocate, soprattutto in ambito commerciale, mentre a livello popolare venivano adoperate solo certe sue parole indispensabili per comunicare con gli stranieri presenti in Palestina. Probabilmente Gesù sapeva esprimersi un po’ in questa lingua, come fanno pensare il suo incontro con un gruppo di greci nella parte del tempio di Gerusalemme dove potevano entrare anche i pagani (Gv 12,20-28) e, forse, il dialogo col governatore Pilato durante il processo (Gv 18,33-38).
L’ebraico veniva usato perlopiù nelle liturgie, nelle discussioni esegetico-teologiche, in alcuni gruppi elitari rigorosi come quelli di Qumran. Era dunque un idioma colto, andato in declino dopo l’esilio babilonese e sostituito a livello comune dall’aramaico, diffuso in tutto il Vicino Oriente di allora. È probabile che Gesù lo avesse imparato nella scuola sinagogale di Nazaret per poter leggere le Scritture e utilizzato durante le controversie teologiche con scribi e farisei riferite dai Vangeli. Ma egli, quando parlava come maestro a pescatori, artigiani e contadini, ricorreva all’aramaico, come dimostrano ventisei parole (esclusi nomi propri e aggettivi) a lui attribuite dai Vangeli o da fonti rabbiniche. Nello specifico, si esprimeva in una versione galilaica di quello ufficiale, come suggerisce questo passo che narra, durante il rinnegamento di Pietro, l’accusa degli astanti all’apostolo: «È vero: anche tu sei uno dei discepoli di Gesù il galileo. Infatti, il tuo modo di parlare ti tradisce» (Mt 26,73).
In una società che teneva in grande considerazione la cultura orale, Cristo sapeva anche leggere, sicuramente l’ebraico. I giudei di Gerusalemme osservano: «Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?» (Gv 7,15). L’espressione “conosce le Scritture” in greco (grámmata ói-den) potrebbe anche significare “sa leggere”. Ma sono i versetti che raccontano di un suo sabato alla sinagoga di Nazaret che lo confermano: «si alza a leggere il rotolo del profeta Isaia» (Lc 4,16-17). Che Gesù sapesse anche scrivere non è certo, considerando che la scrittura non era una pratica necessariamente connessa alla lettura. Infatti, l’apprendimento nella scuola sinagogale avveniva perlopiù con un metodo orale. I Vangeli, poi, fanno solo un vago cenno a riguardo: davanti all’adultera e ai suoi accusatori, il Messia «si era chinato e scriveva in terra col dito» (Gv 8,6). I segni tracciati, però, potrebbero essere stati solo linee o lettere casuali.
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