In Quaresima togliamoci la maschera da Arlecchino

Nel dipinto “Mercoledì delle ceneri” Carl Spitzweg mostra il personaggio carnevalesco di fronte all’essenza della verità.

I bagordi del carnevale sono terminati e Arlecchino è finito in una prigione: il potente fascio di luce che entra dalla finestra evidenzia le sbarre che non permettono la fuga dalla cella. La stanzetta fatta di fredda pietra è spoglia, con una sola brocca d’acqua a sostentare l’uomo che indossa il celebre costume, malinconicamente seduto su una scabra panca. Egli guarda verso il basso con la maschera in mano, rivelando il suo volto. È il giorno del Mercoledì delle ceneri, come si apprende dal titolo di questo quadro di Carl Spitzweg della metà dell’Ottocento, e la Quaresima è iniziata.

Come riflette suor Maria Gloria Riva su Avvenire, questo tempo dell’anno viene a portare verità, a far luce sui finti comportamenti abitudinari, sulle scelte errate e sui discorsi sbagliati. Ma quanti di noi fanno cadere la propria maschera, analogamente all’Arlecchino del dipinto, per indossare i panni essenziali? Quanti guardano a lui come giudici invece di sederglisi accanto pieni di commiserazione e bontà? Quanti mettono da parte il compiacimento e i consensi per affrontare una solitudine meditativa, col solo conforto materiale di una brocca d’acqua? Quanti imparano da tutto questo?

Arlecchino, seppur forzosamente, sta vivendo un momento vero e, anche se il suo costume, simbolo di spensieratezza e astuzia, è sempre lo stesso, non ha lo stesso significato. Quell’abito, apparentemente senza dignità, è fatto di tanti pezzetti di stoffa cuciti assieme, presi qua e là dalle persone che gliene hanno donato uno, forse per compassione. Anche noi siamo così: non saremmo quello che siamo se non avessimo ricevuto un po’ d’aiuto da una parte, un incoraggiamento da un’altra che ci hanno spronati a vivere al servizio della verità.

La Quaresima dovrebbe essere proprio questo: una ricerca dell’essenzialità del vero, una passione per la parola capace di edificare. Prima di iniziare a predicare, Gesù, che era il Verbo fatto carne, trascorse quaranta giorni nel deserto per digiunare e comprendere la propria identità. Noi, che nell’arco di questo tempo faremmo ciò sì e no una manciata di giorni, dobbiamo approfittare al massimo per abbandonare i nostri arlecchinismi e radicarci nella verità.