Il dibattito attuale dovrebbe affrontare le cause storico-culturali che hanno reso la fede residuale nella società odierna.
Il dibattito attuale dovrebbe affrontare le cause storico-culturali che hanno reso la fede residuale nella società odierna.
L’odierna mancanza di passione e interesse per il cristianesimo, da associare a una vaga e confusa domanda di spiritualità, ha radici antiche e profonde, che difficilmente rientrano nel dibattito di quest’epoca quasi post-religiosa. Bonhoeffer si chiedeva in modo profetico: «Che cosa significano una Chiesa, una comunità, una predicazione, una liturgia, una vita cristiana in un mondo non-religioso? Come parliamo di Dio senza religione?». Per rispondere a tali domande, è importante affrontare le cause che hanno reso la fede residuale nella vita della maggior parte della popolazione occidentale. Su Avvenire, Luigino Bruni ne ha individuate tre.
Il primo motivo è radicato nei quattro secoli caratterizzati dalla cultura della Controriforma e riguarda la complicata e non riuscita relazione del cattolicesimo con la modernità. Il trauma della Riforma protestante si tramutò in una chiusura nei confronti delle nuove idee umanistiche e, quindi, moderne (si pensi al rifiuto di Erasmo da Rotterdam), come l’esercizio della libertà di coscienza e la conoscenza popolare della Bibbia. In questo clima, i migliori pensatori cattolici rivolsero progressivamente i loro sforzi non più alla teologia e alla filosofia, che divennero prevalentemente appannaggio di protestanti e nordici, ma verso ambiti del sapere meno a rischio di scomunica (musica, arte, letteratura, scienza, teatro, economia).
Tra Ottocento e Novecento, poi, una parte significativa del pensiero cattolico continuava a considerare il Medioevo come l’età dell’oro del cristianesimo, associando implicitamente il Rinascimento a una decadenza spirituale ed etica. Anche dopo il Concilio Vaticano II continuò questa diffidenza, ad esempio nella stagione della repressione del movimento modernista cattolico, quando centinaia di teologi, biblisti e storici furono emarginati, spretati, sospesi dall’insegnamento. Così, si è persa un’occasione per rinnovare il dialogo teologico con le scienze esegetiche e storiche, più che necessario per uno sguardo maturo sulla fede.
Questa mancata relazione ha generato la seconda ragione: la crescente difficoltà narrativa dell’evento cristiano, che oggi si è trasformata in una quasi incomunicabilità. I codici della narrazione cattolica della fede e dei suoi fondamenti biblici sono sostanzialmente rimasti pre-moderni, mescolati con elementi mitici e senza una vera inculturazione nel mondo moderno e post-moderno. A differenza delle missioni che hanno a che fare con culture non occidentali, la Chiesa continua a parlare una lingua sempre più morta. Il pensiero cattolico, quindi, è poco rilevante anche perché è incomprensibile il suo linguaggio.
La terza e ultima causa è il consumismo. Mentre negli ultimi due secoli combatteva il comunismo e il socialismo ateo, la Chiesa cattolica non si è accorta di un nemico più infido e potente che si stava infiltrando nella società e dentro le sue mura. Quando, nella seconda metà del Novecento, la cultura consumistica ha conquistato la vita e l’anima delle persone (lo preconizzava Pasolini), essa ha grandemente sottovalutato questo processo, dimostrando di aver paura della modernità delle idee e non della modernità delle merci quali nuovi feticci. La spinta all’individualismo, condizione ideale per trasformare le persone in consumatori, sta poi erodendo il senso di comunità, pre-condizione dell’esperienza religiosa.
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