Raggiungere una prospettiva oggettiva su sé stessi vale lo sforzo che richiede

Dal volto affranto d’angoscia del San Pietro penitente del Guercino si può imparare a non desiderare di essere diversi da quello che si è.

“Raggiungere una prospettiva oggettiva su sé stessi è difficile, ma vale lo sforzo che richiede. Sì, dobbiamo riuscire a dirci, è questo che sono stato, ed è questo ciò che ho fatto. Non c’è ragione di desiderare di essere stati diversi […]. Nel bene e nel male sono stato ciò che sono stato. È questo il motivo per cui la vista dalla cima della propria esistenza mette a dura prova.”

Mentre nella vecchiaia ci si avvicina alla morte, c’è chi è divorato dai rimorsi per gli errori commessi durante il proprio cammino, le strade sbagliate, i legami spezzati e mai recuperati. Su questo tema, Avvenire ha pubblicato una riflessione del reverendo Richard Holloway, già vescovo anglicano di Edimburgo per quattrodici anni, che è partito dal dipinto del 1639 San Pietro penitente del Guercino.

L’apostolo Pietro è raffigurato col volto affranto d’angoscia, con gli occhi rivolti verso il cielo e le mani strette in preghiera. Poco prima, Gesù era stato arrestato di notte dai soldati, con la condanna a morte già scritta. Pietro fu spinto a confessare di essere un suo amico, ma per tre volte lo negò, con convinzione sempre maggiore. Secondo il Vangelo di Luca, alla terza Gesù si girò per guardarlo e Pietro fuggì, abbandonandolo in lacrime amare. Proprio lui, che aveva sempre dichiarato la propria devozione a Cristo e difeso il suo maestro. Fino alla morte, diceva e credeva.

“Il dipinto di Guercino coglie il dolore disperato di Pietro per il suo tradimento, e anche a noi viene da piangere solo a guardarlo. È importante rendersi conto che Pietro non sapeva di essere destinato a tradire Gesù finché non lo ha fatto. Lo amava davvero. Voleva davvero morire insieme a lui. Eppure quando fu costretto a provarlo fece l’esatto contrario di quanto avrebbe voluto. È facile immaginare il vuoto che sentì dopo averlo tradito. Si odiava per quel che aveva fatto, per l’uomo che aveva dimostrato di essere a Gesù. Ma non sapeva di essere chi era davvero fino a quel momento nel giardino, quando scoprì di non essere così coraggioso e leale.”

Nell’uomo, le contraddizioni del sé sono infinite. Per il rifiuto di conoscersi, c’è chi si nasconde dalle proprie paure, o chi odia il desiderio degli altri perché non riesce ad ammetterlo in sé stesso. Gesù aveva insegnato ai discepoli a dire «non ci indurre in tentazione», o, come nella moderna traduzione, «non abbandonarci alla tentazione». Loro si vantavano dicendo che non l’avrebbero mai tradito, ma al momento di dimostrarlo fuggirono tutti, compreso Pietro, il suo braccio destro, che fece la figura più miserabile.

“Gesù sapeva quanto potesse essere facile condurre una vita senza mai essere messi alla prova, inconsapevoli della propria vera natura. Ecco il motivo per cui ammoniva dal condannare gli altri per aver fallito in ciò che a noi non è ancora toccato in sorte. Ed ecco il motivo per cui col suo sguardo di comprensione spezza il cuore di Pietro. Ma in quel momento Pietro incomincia a maturare una consapevolezza di sé. Possiamo andare avanti nell’esistenza senza sapere chi siamo fino a quando la giusta combinazione di circostanze ci mette alla prova rivelando il nostro vero carattere. È come se la parte che occupiamo nella recita ci fosse ignota finché a svelarcela, e a farci scoprire il nostro sé profondo, non intervenisse la contingenza. Ma quando giunge il momento, e ci dischiudiamo a noi stessi, dobbiamo essere capaci di accettarlo e ammettere cosa siamo e non siamo in grado di fare.”